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La propulsione navale

Posted on : 16-09-2012 | By : admin | In : Moderna

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APPROFONDIMENTI E INTEGRAZIONI AL CAPITOLO XI

PIANIFICAZIONE ED ESPERIENZE DEI COMANDANTI

9. LA PROPULSIONE NAVALE.

A cura del Direttore di macchina della Società Costa e
docente presso l’Accademia della Marina Mercantile di Genova

Cesare Zaniboni

1) La propulsione navale a vapore.

Un impianto di turbo propulsione navale è costituito essenzialmente da generatori di vapore (caldaie) corredati da più bruciatori che generalmente producono vapore surriscaldato con pressioni medie di 55kg/cmq e temperature di 450°c.
Questo vapore opera all’interno di turbine, cedendo potenza meccanica, che attraverso un riduttore di giri viene trasmessa all’elica.
Il vapore, dopo aver lavorato in turbina, viene scaricato al condensatore richiamato dal vuoto (pressione negativa) che opera all’interno dello stesso. Qui il vapore, subendo una sottrazione di calore grazie alla circolazione di acqua mare, ritorna allo stato liquido e la condensa ottenuta attraverso pompe di alimento, ritorna in caldaia.
Anche se la descrizione sopra illustrata può dare la sensazione di semplicità nell’impianto, altrettanto non si può dire nella realtà: in effetti gli apparati motori delle turbonavi erano molto complessi non solo per le motrici principali, ma anche per gli ausiliari che servivano per il funzionamento dell’intero sistema. I generatori elettrici erano generalmente trainati da turbine, le pompe di alimento delle caldaie erano condotte da turbine, erano necessari buoni evaporatori per la produzione di distillato per le caldaie, i vari spillamenti sulle turbine principali ottimizzavano il ciclo termico, ma indubbiamente complicavano l’impiantistica e sicuramente andando avanti su questo tema, si potrebbero scrivere molti capitoli. Ma allora quali erano i vantaggi? Innanzi tutto elevate potenze: infatti la turbina sfruttando l’azione dinamica del vapore, non necessitava di grossi volumi per esprimere alte potenze. In questo periodo i motori a combustione interna erano ancora condizionati da molti fattori che limitavano la potenza. Altro vantaggio era quello di poter bruciare combustibile di tipo scadente (bunker C) e benché i consumi specifici della turbina fossero elevati (si poteva arrivare anche a 400/500 gr/CVasse h !!) i costi del fuel erano molto bassi e l’incidenza sul costo generale della nave era minima.
In particolare la turbina ebbe un forte sviluppo dal 1950 in poi: non possiamo dimenticare navi pax quali Andrea Doria, Cristoforo Colombo, ma è necessario anche dire che intorno al 1960 la turbina trovò impiego su molte navi da carico, in particolare su petroliere, porta contenitori, portarinfuse e metaniere.
Vari erano i motivi che consigliavano la propulsione a vapore sulle navi da carico: prima di tutto il gigantismo (petroliere e portarinfuse), la necessità di grosse quantità di vapore per gli ausiliari (petroliere: turbo pompe per il carico, riscaldamento cisterne, etc.), elevate velocità per ridurre i tempi di trasporto (portacontainer) ed in ultimo la possibilità di bruciare in caldaia il boil-off (metaniere).
Da menzionare dopo il 1950 la propulsione nucleare in campo militare: un reattore produceva vapore, e questo agiva su turbine collegate con riduttore all’elica.
Nel 1959 venne varata la prima nave mercantile a propulsione nucleare (Savannah), ma l’esperimento non ebbe successo, e nel 1972 la nave venne messa in disarmo: i costi elevati per la costruzione e la necessità di personale specializzato per la conduzione ne hanno condizionato lo sviluppo. Non si può dimenticare che in campo militare ci sono stati diversi gravi incidenti su questo tipo di propulsione, con vittime ed inquinamento dell’ambiente; non ultimo la difficoltà di smaltire le scorie radioattive del reattore.
Tra il 1950 ed il 1965 vennero costruite turbo navi sempre più grandi, veloci ed in particolare nel settore passeggeri più lussuose e prestigiose purtroppo sempre meno economiche!

Diversi fattori contribuirono a determinare la fine della propulsione a vapore (trasporto aereo), ma quello determinante fu la crisi energetica del 1973: molte navi passeggeri vennero messe in disarmo oppure – nell’ottica di ridurre i consumi – “deratizzate”: gli impianti di propulsione venivano modificati con operazioni di “power derating” che ne riducevano la potenza, la velocità e conseguentemente i consumi.
Il declino degli apparati a vapore fu irreversibile, per lasciare spazio ai motori diesel certamente con consumi specifici minori.
Fu durante quel periodo che i costruttori di motori videro l’opportunità di sostituire un concorrente che fino ad allora sembrava invincibile, ed impiegarono tutte le loro forze nell’ottica di ridurre ulteriormente i consumi, adattare i motori a bruciare nafte sempre più scadenti ed aumentare decisamente le potenze.

Presto le potenze dei motori raggiunsero la soglia dei 50 MW, facendo decadere in tal modo la scelta di impianti a vapore per avere elevate potenze.
L’impiego di motori diesel, trovò ulteriore spazio di mercato, in quanto l’armamento mondiale abbandonò il fenomeno del “gigantismo” e si indirizzò verso navi di tonnellaggio medio.

2) La propulsione navale con motori diesel.

Oggi l’apparato di propulsione più sviluppato sulle navi è costituito dal motore diesel generalmente così classificati:
motori a due tempi lenti, con velocità di rotazione compresi tra i 70 e 150 RPM, impiegati come motori di propulsione di massima accoppiati direttamente all’elica.
motori a quattro tempi semiveloci, con giri al minuto compresi tra 400 e 750 ed impiegati per propulsione tramite riduttori di giri o generatori di corrente.
motori a quattro tempi veloci, con velocità di rotazione compresa tra 800 e 2500 RPM ed impiegati per propulsione accoppiati a riduttore di giri o generatori di corrente.
Tutti questi motori sono sovralimentati, ovvero i gas di scarico vanno ad agire su una turbina che aziona un compressore e permette di inviare aria in pressione ai cilindri, bruciare più combustibile, elevando in tal modo la potenza; questo aumento di potenza è stabilito confrontando a parità di volume un motore aspirato, dove la carica d’aria all’interno del cilindro è a pressione atmosferica.
Un’altra importante suddivisione dei motori è relativa al numero di corse che il pistone effettua in un ciclo completo: in italiano queste corse sono definite (forse impropriamente) “tempi” e da qui i motori a 4 tempi ed i motori a 2 tempi.
Sostanziale differenza visiva tra i 4 tempi ed i 2 tempi, sono le valvole sulle testate: nel primo caso abbiamo valvole di aspirazione e scarico, mentre nel secondo solo valvole di scarico in quanto la carica dell’aria avviene generalmente attraverso delle aperture sulla camicia dette “luci”.
Ancora una caratteristica che differenzia i motori: esistono motori in linea e motori a “V”.
Queste denominazioni vengono dalla disposizione dei pistoni: in particolare i motori con i pistoni disposti a V soddisfano le esigenze di particolari locali macchina dove sono necessarie discrete potenze con ingombri in altezza limitati (es. traghetti con garage che limitano l’altezza del locale macchina).
La transizione tra la propulsione a vapore e quella dei motori diesel, ha portato anche delle sostanziali modifiche nella tipologia della manovra nave. Parliamo di un periodo nel quale erano molto rari i dispositivi che permettevano di manovrare le macchine dal ponte di comando: generalmente dal ponte di comando – attraverso il telegrafo – venivano dati comandi al locale macchina per variare l’andatura ed il senso di marcia. L’attuazione di quanto richiesto era compito del personale di macchina.
Ma vediamo in sintesi come è cambiata la manovra da vapore a diesel:
sostanzialmente il Comandante che manovrava una nave a turbina, doveva considerare che i tempi di risposta della macchina erano condizionati dalla velocità con la quale le caldaie riuscivano a mantenere la pressione di esercizio all’apertura di vapore alle macchine. Inoltre doveva essere ben presente il fatto che la potenza in marcia AD poteva essere un terzo di quella in marcia AV (turbine con potenze di 30.000 CV in marcia AV, avevano in marcia AD 11.000 CV).
Quindi il Comandante doveva “anticipare” le manovre per ottenere gli effetti di marcia ed evoluzione voluti.
Con l’avvento del diesel, dove la potenza in marcia avanti è uguale a quella della marcia addietro, ed i ritardi tra comando e risposta sono minimi, i Comandanti hanno sostanzialmente modificato il loro modo di operare. A mio avviso, le manovre con motori diesel, erano più veloci, ma i comandi dovevano essere limitati nel tempo: infatti per i motori collegati con eliche a pale fisse, e quindi reversibili, ogni variazione da fermo a marcia avanti o indietro, era prodotto dall’avviamento.
Generalmente questo avviamento avviene con l’introduzione di aria compressa (30 Kg/cmq) nei pistoni per creare il movimento necessario al passaggio a combustibile ed all’auto-sostentamento della rotazione. Da qui l’attenzione del Comandante nel limitare il numero degli avviamenti ed evitare che i compressori d’aria preposti non riuscissero a compensare i consumi.

Oggi l’evoluzione tecnologica della propulsione navale integrata con l’elettronica hanno cancellato le situazioni sopra descritte : le manovre vengono fatte dal ponte di comando e non è rara la presenza sul ponte del Direttore di macchina.
Ma vediamo sinteticamente come oggi il motore diesel viene impiegato per la propulsione navale.
Generalmente le grosse navi da carico (petroliere, bulk, container) sono motorizzate con motori diesel a 2 tempi – magari a corsa lunga – reversibili e collegati direttamente all’elica a pale fisse .
Per la produzione elettrica, sono impiegati diesel/generatori a 4 tempi integrati in alcuni casi da un alternatore asse impiegato durante la navigazione.
I motori a 4 tempi, semiveloci e veloci, per le dimensioni ridotte e per le potenze importanti che esprimono, oggi trovano ampio impiego su navi ro-ro, traghetti e navi passeggeri.
Come già abbiamo accennato, questi motori non possono essere collegati direttamente con l’elica, ma necessitano di un riduttore di giri.
Così sullo stesso asse possono essere montati due, tre ed anche quattro motori attraverso frizioni (pneumatiche o idrauliche) con il risultato dei seguenti vantaggi:
- maggiore sicurezza dovuta al fatto di non dovere dipendere da un solo motore di propulsione;
- possibilità di variare la potenza facendo funzionare i motori con carichi ottimali per i consumi;
- facoltà di effettuare manutenzione su di un motore anche in navigazione (questo grazie alle frizioni).
L’elevata potenza elettrica – impiegata sulle navi passeggeri – per i servizi di bordo estranei alla propulsione (condizionamento, cucine, lavanderie, eliche di manovra etc.) ha suggerito la realizzazione di propulsioni diesel elettriche: diversi diesel generatori producono corrente a MT (da 6000 a 11000 volts) e le eliche sono mosse da motori elettrici o più recentemente da propulsori “POD” .
Il pod rappresenta la versione di propulsione azimutale che più si è sviluppata dagli anni ’90.
Il propulsore pod è un modulo sistemato nella zona di poppa, può ruotare di 360° intorno al proprio asse verticale e contiene al proprio interno un motore sincrono che aziona un’elica a pale fisse.
Un ultimo cenno alla propulsione attuale: le turbine a gas hanno avuto un forte impulso nell’installazione su navi passeggeri e questo in particolare per navi che operando nei mari dell’Alaska e dei Paesi Baltici, devono rispettare le leggi sul contenimento delle emissioni atmosferiche.
Così è sempre più facile vedere navi pax con turbogas posti nella zona dell’albero o nella ciminiera (navi Princess): i turbogas, collegati con generatori elettrici, sostituiscono i diesel quando la nave opera in zone geografiche con limitazione di emissioni nocive, o possono integrare la potenza della centrale diesel elettrica.

Intervista di “Vita e Mare”

Posted on : 16-09-2012 | By : admin | In : Moderna

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APPROFONDIMENTI E INTEGRAZIONI AL CAPITOLO XI

PIANIFICAZIONE ED ESPERIENZE DEI COMANDANTI

8. INTERVISTA di “VITA e MARE” (Organo del Collegio Capitani).

con il Comandante C.L.C. della nave “Stella Deneb” in Australia

Laura Pinasco.

Al comando della Stella Deneb appartenente alla Siba Ship c’è una donna. È Laura Pinasco, ha compiuto trent’anni e l’armatore le ha dato fiducia: comanda una nave porta-bestiame, la più grande di tutti i mari. Laura Pinasco ha iniziato a navigare nel 1997. Assunse il comando la Ia volta nel 2003.

In un ambiente quasi tutto maschile, come quello marittimo, ha incontrato qualche difficoltà nel fare carriera?

Non credo che le donne abbiano vita facile in ambienti di lavoro; ho avuto parecchie difficoltà. Nel 1997 quando ho fatto il primo imbarco sentivo ripetere sempre la stessa frase: “in Italia non siamo ancora pronti per avere le donne a bordo”; dopo 10 anni ancora la sento. Al termine del mio primo imbarco, non mi è stato compilato l’estratto di navigazione fuori dagli Stretti con la scusa che a me non mi sarebbe mai servito!
Ci sono anche compagnie ed armatori illuminati, come la Siba, che invece hanno coraggio di scommettere sulle donne. Io, per fortuna, non sono né il primo né l’unico comandante donna in Italia.

Perché ha scelto questo mestiere?

Nelle scuole medie, a Lavagna (GE), dove studiavo, era venuto a parlare un prof. di Navigazione del Nautico. Mi colpì talmente che, nonostante non avessi alcuna tradizione marinara in famiglia, decisi d’iscrivermi. Partecipai al corso post-diploma e salii a bordo la prima volta. Da quel momento, nonostante le difficoltà iniziali e la mancanza d’imbarchi, niente mi ha più fermato. Ricordo ancora l’emozione del primo imbarco, quando lasciammo la diga foranea di Genova. A volte, forse, potrò sembrare esagerata, mi sembra di aver provato un vero amore per questo stile di vita; niente avrebbe potuto fermarmi. Poi negli anni, è anche fisiologico, gli amori si trasformano.

Ha scelto Lei di comandare una nave porta-bestiame, o è stato un caso?

Il comando viene designato dall’armatore. Sono entrata in Siba nel 2006 dopo aver trascorso quasi tutta la mia vita lavorativa sulle LPG di cui gli ultimi tre da Primo Ufficiale. Ho colto volentieri questa opportunità perché avevo voglia di cambiare. All’inizio è stato difficile. La “Stella Deneb” è grande; ha 36000 metri quadrati a disposizione del carico, impianti nuovi per me, problemi di stabilità e pescaggio da risolvere…

Che differenza c’è, nella gestione nave, tra una mercantile classica ed una porta-bestiame?

Su questa nave ci sono 89 membri di equipaggio, gli stockman australiani ed 1 veterinario. Durante il loaded-passage arriviamo quasi a 100. Come in ogni nave ci sono i turni di guardia, la sicurezza da seguire, i certificati da rinnovare, la manutenzione ecc. L’organizzazione di bordo viene elaborata in funzione degli animali e del loro benessere.

Sulla “Stella Deneb” sono imbarcati 49 giovanotti di coperta, o/s, dediti alla cura degli animali, 1 nostromo che è un personaggio chiave in quanto organizza i lavori e riferisce al Primo Ufficiale, 4 marinai per la navigazione e la manutenzione. Ci si sveglia tutti presto per il primo feeding; i giornalieri iniziano alle 6 del mattino; l’intera giornata è dedicata alla pulizia ed all’approvvigionamento del bestiame, che siano pecore, mucche, bufali o cammelli. Di notte si organizzano le ronde nelle stalle. Gli stockman ed il veterinario curano la salute degli animali e cooperano con l’equipaggio in tutte le mansioni. Gestire 90-95 persone appartenenti a cinque nazionalità e di quattro religioni differenti, può sollevare problemi, ma non è impossibile. Si può lavorare in armonia, come quasi sempre succede; e poi, per fortuna, il lavoro è molto, anche per i cuochi che hanno il loro daffare per accontentare tutti.

La formazione in Italia l’ha aiutata rispetto ai suoi colleghi stranieri?

L’Italia ha una grande tradizione marinara, e questo deve essere riconosciuto. La ricchezza dei libri a nostra disposizione, il numero e la distribuzione degli Istituti Nautici ne sono una prova. Tuttavia la tradizione si va piano piano perdendo o forse trasformando. Si naviga con persone di altre nazionalità, si confrontano esperienze e modi di lavorare e di apprendere che sono altrettanto validi. In molte altre nazioni la scuola nautica è un college o un’accademia statale; alla fine del corso triennale viene rilasciata una vera laurea. Gli allievi hanno già 22-23 anni, sono preparati e soprattutto sono molto più disciplinati degli italiani.

Consiglierebbe ad altre ragazze questo mestiere?

Non lo farei a cuor leggero. Non sono pentita; ho avuto una vera folgorazione per questo lavoro e ho avuto le mie soddisfazioni.

Un tempo era arte Navale

Posted on : 16-09-2012 | By : admin | In : Letture Moderna, Moderna

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APPROFONDIMENTI E INTEGRAZIONI AL CAPITOLO XI

PIANIFICAZIONE ED ESPERIENZE DEI COMANDANTI

7. UN TEMPO ERA ARTE NAVALE.

ovvero la possibile trasformazione del navigante nel corso degli anni

A cura del Capitano di Lungo Corso

Mario Sincich

Buongiorno,
dopo più di 40 anni di attività mi sento di scrivere alcune riflessioni che la mia lunga esperienza mi ha portato a fare durante tutto questo tempo:
quando cominciai, nel lontano 1966, anno della mia promozione al Nautico di Genova, mi ritrovai, durante il servizio militare quale allievo Ufficiale di complemento presso l’Accademia Militare di Livorno, a diretto contatto con la dura vita dei marinai di una volta. Una vita fatta di fatiche e duri sacrifici, solo marginalmente vissuta come quella delle vere navi a vela: un assaggio che mi ha fatto pensare che pochi della mia generazione avrebbero potuto sostenere.
A quel tempo mi dicevo: ormai sono tempi passati (nemmeno da tanto) e la vita adesso è cambiata!
Ci si è fatti l’esperienza! … sì ma è tempo di voltare pagina!
Nel 1969 approdai alle navi che fanno ancora parte del mondo di oggi anche se in progressiva estinzione poiché quasi radicalmente superate dal progresso. Ricordo i primi imbarchi sulle navi a carico generale con 6 stive e fino a 30 bighi (picchi di carico), adibite a rotte che toccavano l’Africa, l’India, il Bangladesh, il Pakistan, Singapore, Hong Kong, Giappone, Corea, Taiwan, Australia, Nuova Zelanda, e la Cina. Le merci erano le più disparate, ognuna con le sue caratteristiche e necessità di stivaggio: trattori, bobine di cavi, locomotive, camion, riso, canapa, filati, amianto, rame, olio lubrificante, olio commestibile, lattice, corna di animali non pulite della carne, cannella, thè, cocco, casse di tutti i generi, materiale cantieristico, marmo in blocchi squadrati e in pietre, auto, containers (i primi), legname catramato e grezzo, vetri e specchi in casse, cartoni, casse, bauli, rottami, parti di ricambio, spezie e profumi, e poi materiale inquinante, velenoso, ossidante, infiammabile, … petardi e mi fermo qui altrimenti chi mi legge rischia di addormentarsi.
Quanta esperienza come Super-cargo (più di 12 anni effettivi), e la passione per questa attività mi hanno impegnato giorno e notte fisicamente e con il cervello nel continuo assillo di non contaminare la merce, non danneggiarla, mantenere i livelli di sicurezza richiesti dalla nave, pensare a come stivarli, come imbarcarli, sbarcarli, etc.! Quanti sacrifici in navigazione in 3a e 1a guardia, in porto 24 ore su e giù per le stive con il solo aiuto del 3° ufficiale … salvo rari momenti, sempre a bordo per tutto il periodo di imbarco. Bruciato dal sole dei tropici e dell’equatore e poi raffreddato dai climi freddi giapponesi e nord europei … Come me quanta gente a seguire un lavoro tanto faticoso quanto mai uguale! … ma sempre all’aria aperta che, eccezion fatta per gli olezzi dei porti più arretrati (quasi tutti), una per tutte l’inconfondibile puzza delle farine di pesce cadute tra le rotaie delle gru e putride per il caldo e le piogge(chissà quanti di voi ricorderanno bene quel “profumo caratteristico”).
Poi venne l’era dei traghetti, arie asfissianti del garage, trailers, mafi, trattori, ancora rame in barre e catodi. E grandi fork lifts in grado di alzare containers di 30 ton come se fossero fuscelli……
Ancora richiesta di attività di pianificazione e tanto mare: bello o brutto, ma sempre per mare.
Finalmente, dopo tanti anni ci si è fatti l’esperienza! … sì ma è tempo di voltare pagina!
Nel frattempo ha preso il via il container! Cambia tutto: si passa da ogni tipo di merce a “scatole” di 6 0 12 metri, con molte meno esigenze, ma su navi completamente cambiate dal punto di vista strutturale: si parla di guide, slots, e coordinate! Il calcolo di stabilità che sulle navi a merce varia si faceva con l’ausilio di uno strumento (stabilometro) alla partenza per il viaggio ed a fine caricazione, ora viene richiesto alla partenza da ogni porto e, viste le LOA sensibilmente aumentate e più simili alle bulk carriers e petroliere, ora compaiono gli stresses … da tenere sotto stretto controllo ad ogni porto, prima con interminabili calcoli fatti a mano o con l’ausilio delle prime calcolatrici; io avevo, ho ancora, una Casio che funziona in Basic programmabile facendo risparmiare svariate ore di lavoro e sopra tutto riducendo di molto la possibilità di errori.
Ecco che, fatte salve le ferree regole che impongono i carichi pericolosi ed i frigoriferi, ora si tratta di scatole: stabilità, pescaggi, stresses, e sempre per mare. Soste limitate dal progresso, giro mondo in 76 giorni, con 20-22 porti, fino a 190 ton/die di fuel bruciate nelle caldaie e medie di 24 nodi …
In partenza da Zeebrugge o Wellington per la traversata si organizza la lettura contemporanea dei 6 pescaggi; per il controllo della pesatura nave si allentano i cavi e si riempiono le casse di stabilità per controllare il GM; poi all’arrivo in Australia, a Freemantle, la “barra” ci costringe a vuotare gran parte dell’acqua dolce dal gavone di poppa per entrare in porto con 50 cm di stabilità.
Nel 1995, dopo essere stato mandato ad Amburgo a ritirare una nave precedentemente polacca, ho avuto anche la soddisfazione, grazie alle mie conoscenze di programmazione, di preparare per essa e la sua gemella, con l’aiuto del Prof Stenner del Nautico di Trieste, il programma per il calcolo di stabilità pescaggi e stresses, programma poi approvato dal R.I.Na. per utilizzo ufficiale.
Ed ecco fatta una nuova esperienza! … sì ma è tempo di voltare pagina!
Nel 1995 rientro in un programma di “prestito di personale” tra Società consorelle per cui mi si chiede di organizzare la caricazione su navi multipurpose (merce varia e containers) dal mediterraneo al Sud America occidentale. Che bello, quanto è interessante e coinvolgente: si lavora ancora con i piani fatti a matita, ci si sposta da una città all’altra seguendo la nave e si controlla la caricazione della nave fianco a fianco al personale portuale. Spagna, Francia, Italia, di nuovo fatica, ma quanta soddisfazione alla fine!
Purtroppo “di un bel piano di carico non fu mai scritto!!!”
Nel 1996 abbandono definitivamente la navigazione per seguire la mia passione: svolgere attività di planner caricare le portacontainers sempre più grandi , attività che non si limita più ad una nave sola (quella su cui si naviga) ma che ora viene richiesta per organizzare più caricazioni contemporaneamente: l’attività di shipplanner e yardplanner al Terminal svolta per 6 anni ½ al Voltri Terminal Europa mi concede una vita vicino casa e non mi richiede più di solcare i mari:
non vedrò più quelle meravigliose albe dell’oceano indiano, oppure i reef dell’Africa orientale belli e pericolosi, non più arrivi nella suggestiva Hong Kong, non più trafficate file indiane nel Shimonoseki Kaykio, o nei paraggi di Singapore e Nord Europa, né Panama, con il fascino dei suoi trenini. Non più cieli plumbei nella Malacca e non più pirati. Non più maltempi a sud dell’Alaska, o depressioni tropicali o monsone e fusi orari in avanti e indietro … il giro mondo fatto per una quindicina di volte non mi farà più portare l’orologio indietro di un giorno… per ripetere la stessa data. Non più notti senza luna in mezzo ad un oceano altrettanto scuro fatta eccezione per quei due meravigliosi, fluorescenti “baffi” creati dal plankton disturbato dalla prua che ineducata solca le acque verso l’incomprensibile meta che non ha mai fine.
Ora turni giorno e notte per 362 1/2 giorni l’anno: escluso Natale, mezza giornata capodanno, 1 maggio.
Navi su navi, piccole, grandi, feeders, oceaniche: tecniche e problematiche di stoccaggio contenitori a piazzale, sequenze di sbarco/imbarco e strutture nave sempre diverse ed esigenze diverse. Calcoli di rese sempre accertati, trasferimenti di personale da una nave all’altra o sul piazzale per il miglior utilizzo possibile, e sopra tutto contatti con svariati planners dislocati ovunque nel mondo e con la più disparata conoscenza dell’inglese. Si mastica spagnolo e francese, giusto il necessario per capirsi, Oxford è lontana, ma la regola per noi marinai dell’arrangiarsi sempre, è materia che le università dovrebbero prendere in considerazione e richiederne le tesi.
Ed ecco fatta una nuova esperienza! … sì ma è tempo di voltare pagina!
In questi ultimi anni si sono venuti a creare un po’ ovunque nel mondo dei centri chiamati “Tonnage Center” ove dei planners operano l’attività su più navi contemporaneamente, senza muoversi dall’ufficio.
Nel 2002 abbandono il Terminal (le notti sono estenuanti) ed i ritmi di lavoro stridono con la scarsità di personale facendo diventare la vita a volte insopportabile.
Il salto di qualità lo farò questa volta andando a fare il planner di linea per un Joint di 5 Società a livello mondiale, le cui navi -12 prima e 7 poi- più grandi, sono impiegate tra il Mediterraneo e il Sud-Est America.
Ora il “puzzle” dipende principalmente da me: la caricazione, le soste in porto, i ristivaggi, l’ottimizzazione nave, i “pericolosi”, i frigoriferi, i carichi break/bulk, la stabilità, gli stresses, la velocità, i consumi, lo scambio di porti e/o l’omissione per l’insorgere di inaspettati problemi (scioperi, rotture gru, maltempi , congestioni etc) dipendono da me.
Io devo valutare il tutto e proporre ai Partners quali possono essere le soluzioni possibili e migliori dal punto di vista dei costi, dei consumi, dell’immagine, e del mantenimento dell’itinerario. Senza ovviamente tralasciare la collaborazione con il Comando nave. Un lavoro che impegna molto, se fatto seriamente, in cui la parola disponibilità assume quasi più importanza delle esigenze familiari.
Il contatto via e-mail con i Partners, i terminals, i comandanti e le agenzie ci fa vivere e “conoscere” persone che non abbiamo mai visto e forse mai vedremo, in una “ comune intesa” che porta alla collaborazione ed al risultato finale! Bellissimo!
Approdare all’Ufficio JOCO GOA (Joint Coordination Office in Genoa) mi porta al top della conoscenza dell’esperienza e, fiore all’occhiello dell’Azienda, mi fa piano piano crescere la consapevolezza che nel mio lavoro vi sono tante e tali variabili che mai nessun programma di computer, almeno per le capacità ed attrezzature attualmente disponibili, sarà in grado di sopperire il lavoro dell’uomo-planner!
Questa è un’altra rivincita sul progresso che tenta inesorabilmente di soppiantare l’homo sapiens !
Ed ecco fatta una nuova esperienza! … sì ma è tempo di voltare pagina !
Sì perché il mondo si evolve, si profila la nuova tipologia di lavoro per il planner: lavoro ovunque ci si trovi !
In effetti cellulare, e-mail, computer portatile, banda larga, non richiedono più la presenza in Ufficio!
Ma forse corro troppo adesso: i vecchi concetti del lavoro e la diffidenza radicata nella classe dirigente italiana vogliono ancora la presenza in ufficio: in Inghilterra, ed altri Paesi Europei sono già più avanti in tal senso poiché viene considerato il risultato del lavoro svolto anziché le ore in cui si è stati impegnati per svolgerlo: ma questi sono altri argomenti , … questa è un’altra storia!
Ed ecco fatta una nuova esperienza! … sì ma è tempo di voltare pagina!
Scusate, mi sono sbagliato, io ho finito!
Lascio a qualcun altro probabilmente più bravo di me e più all’avanguardia, senz’altro più giovane, il compito di continuare a scrivere questa storia: a parte qualche possibile attività di consulenza penso di non poter ulteriormente ampliare la mia esperienza che a dire il vero mi comincia a pesare, in quanto fa a pugni con i vecchi concetti di chi dovrebbe maggiormente considerare il Capitano come una opportunità per avvalersi di esperienza, correttezza nel lavoro, capacità decisionale, e capacità di superare gli imprevisti, specialità di cui è dotato per sua stessa natura: altrimenti non sarebbe un navigante!

Un ringraziamento ai Docenti del Nautico di Genova dove ho studiato con profitto e fino al diploma.

Sull’onda lunga avvisto molto fardaggio

Posted on : 16-09-2012 | By : admin | In : Moderna

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APPROFONDIMENTI E INTEGRAZIONI AL CAPITOLO IV

COMUNICAZIONI CON LE RADIO-ONDE

STORIE DI MARE RACCONTATE DA MARCONISTI.

“Sull’onda lunga avvisto molto fardaggio …”

a cura del Capitano Lungo Corso Ufficiale Marconista Angiolino Massari

Mio nonno, Nostromo e Scrivano sui velieri “camoglini”, dopo numerosi naufragi e dopo aver sofferto per lo scorbuto, lasciò la pelle sul mare.
Quando annunziai a mia madre il desiderio di studiare per prendermi il brevetto di Marconista e andare a navigare, lei ci rimase male e tentò di dissuadermi.
Ma il fascino di questa professione mi aiutò a superare le comprensibili riserve e presi la via del mare.
C’erano tante cose da imparare, però mai mi lasciai sopraffare dai momentanei sconforti e tentennamenti. Cercai sempre di inquadrare i problemi, pensarci sopra per capirli bene e poi passare all’operatività. L’esperienza aiuta chi ha volontà.
Quali erano i compiti fondamentali dell’Ufficiale Marconista? Vediamo d’inquadrarli in un decalogo:
1. Ascolto sulla 500 Kc/s, l’onda media su cui viaggiano i segnali RT, di SOS.
2. Ascolto sulla 2182 Kc/s su cui viaggiano i segnali radiotelefonici di sicurezza.
3. Ricezione in R.T. o in R.T.F. dei bollettini meteorologici, Avvisi ai Naviganti e ogni altro messaggio di sicurezza; dai ghiacci alla deriva ai cicloni, dai contenitori in mare alle aree di esercitazioni militari …
4. Ricevere la Lista di Traffico da Roma Radio o altra stazione costiera.
5. Trasmettere a terra la posizione della nave, le condizioni del tempo, l’ETA, la Lettera di prontezza del carico … 4 e 5 sono i punti fondamentali delle operazioni commerciali della nave, molto importanti.
6. Segnali orari R.T. indispensabili per verificare lo scarto (K) in minuti e secondi tra l’ora esatta trasmessa GMT e l’ora del cronometro di bordo che serve per “fissare” le osservazioni astronomiche dell’ufficiale di coperta.
7. Ricevere il notiziario ANSA con le notizie di cronaca, politica, sport …
8. Mettere l’Autoallarme ad ogni fine guardia.
9. Manutenzione degli accumulatori.
10. Registrare ogni notizia sul Giornale RT o RTF.

In R.T. si usava il codice Q per abbreviare la trasmissione. Esempio: QRU? trasmesso col Morse dall’Ufficiale Marconista di bordo e indirizzato alla stazione costiera o ad una nave significava: Avete qualcosa da trasmettere per me?
In stazione radio c’è un solo orologio: quello regolato sull’UTC, come dire GMT, ora del fuso Z (si pronuncia zulu) di Greenwich.
In ogni ora ci sono due intervalli di SILENZIO (dal minuto 15 al minuto 18; dal minuto 45 al minuto 48) per l’ascolto di eventuali rilanci di messaggi di soccorso sulla 500Kc/s; dal minuto 0 al minuto 3, e poi dal minuto 30 al minuto 33 per l’ascolto sulla frequenza 2182Kc/s. Non può essere fatta nessuna chiamata commerciale in questi intervalli.
Sul Giornale RT e RTF (parte del Giornale Nautico) deve essere registrata ogni comunicazione con altra nave e stazione di terra, il rispetto del Silenzio, la ricezione di una chiamata, eventuale rilancio di un messaggio di soccorso …
L’allarme di soccorso (a cui seguirà il messaggio di SOS della nave in pericolo) viene realizzato inviando 12 linee della durata 4 secondi, linee separate da 1 secondo: il totale dei secondi è 60. Il messaggio di soccorso è del tipo: “SOS … nome della nave … posizione … natura del pericolo …”. La nave che riceve tale segnale risponde con RRR SOS.
È importante mantenere i contatti tra Ufficiali Marconisti di navi sociali e non. Lo scambio d’informazione avviene intorno alle 14 UTC sulle frequenze di lavoro.
Nell’Ottobre del 1966 sono imbarcato sulla T/N Dragone quando di notte si sprigiona il fuoco in Sala Macchine. Ho solamente il tempo di trasmettere il segnale di urgenza in R.T. Il messaggio è captato dalla stazione inglese di Niton Radio e da Cagliari Radio. All’alba del giorno successivo l’incendio viene domato dal bordo. Vediamo intanto giungere in nostro aiuto la bella T/N Michelangelo; ma senza operare, in quanto che riprendiamo la navigazione con i nostri mezzi.
Nel Marzo 1974 ero imbarcato sulla M/N Vega (ICMV) di 80.000 GT, della Sidermar. Al comando del Cap. S.l.c. Oreste Rossi. La nave trasportava minerale da Monrovia diretta a Taranto. Seguo con scrupolo i bollettini del tempo e la tendenza. Nessuna burrasca (Gale nil …). Entriamo nel Mediterraneo e troviamo un’onda lunga. Verso mezzogiorno, nel Canale di Sicilia, scorgo al binocolo dei legnetti, ma poco dopo molto fardaggio. Mi avvicino al Comandante per scrutare il suo pensiero
e lo vedo pensieroso. Il Primo, più distante, manifestava il suo fastidio per la mia curiosità e preoccupazione. Il Comandante si convince e ordina alla Sala Macchine “Avanti adagio” ed al timoniere 5° di timone per un ampio giro di evoluzione. Inforco nuovamente i binocoli e vedo la “lavagnetta di partenza” con la scritta “M/N Seagull”! Allora mi reco in stazione radio e lancio ripetuti securité sul VHF Canale 16. Riprendiamo la rotta per Taranto. La Capitaneria di Porto di Taranto non era a conoscenza di nulla! Dopo alcuni giorni da quel sinistro avvistamento
arriviamo a Genova. In banchina le Autorità marittime ci aspettano per interrogarci ed aprire l’inchiesta. Dispersi, con la nave, tutti e trenta gli uomini dell’equipaggio. È rimasta solamente la vedova del marconista del Seagull, la Signora Junckovich, a lottare come una leonessa per conoscere la verità sulla fine misteriosa di quella nave carica di fosfati!
Marconista a terra. Arriva nella vita il momento della svolta. Seppi di un concorso per l’impiego nelle stazioni radio costiere. Tentai e andò bene. Meno stipendio ma una vita più tranquilla, vicino alla famiglia. Però non mancano i momenti in cui uno deve tirar fuori il meglio di sé.
SOS. La notte del 14 Agosto 1992 ricevo un SOS dalla nave passeggeri norvegese Seabourn Spirit di 10.000 Ton. al comando del Captain Lund Anderssen, diretta a Portofino con 300 persone a bordo da salvare dal fuoco. La nave è al largo di Capo Mele. Dopo un buon lavoro di contatti radio e di coordinamento, individuo nella M/N Daphne, della Costa Crociere, la nave più idonea a soccorrere la Seabourn Spirit. A bordo della Daphne salgono i bambini e gli anziani. Dò qualche consiglio al Comandante. Mi esprimo correttamente in inglese e ciò contribuisce a rasserenare gli animi. Riprende la fiducia e con i mezzi di bordo l’incendio viene domato. Ho la soddisfazione, qualche mese dopo, di essere invitato a bordo di quella nave norvegese, e di ricevere dal Comandante L. Anderssen un pubblico elogio davanti alle Autorità ed ai giornalisti.
Ora che sono in pensione mi sento ancora attratto ai problemi del mare. L’ultima soddisfazione: istruire gli Ufficiali della nostra Marina nei corsi di addestramento, a Pavia e a Genova, per l’acquisizione del brevetto di Radio Operatore GMDSS.
La professione del Marconista iniziò nel I decennio del XX secolo e terminò dopo quasi 100 anni. Ironia della sorte: è toccato anche a me dire la parola Fine.

Lavagna, Giugno 2006

Li abbiamo salvati grazie al radiogoniometro

Posted on : 16-09-2012 | By : admin | In : Moderna

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APPROFONDIMENTI E INTEGRAZIONI AL CAPITOLO IV

COMUNICAZIONI CON LE RADIO-ONDE

STORIE DI MARE RACCONTATE DA MARCONISTI.

“Li abbiamo salvati grazie al Radiogoniometro”

a cura del Capitano Lungo Corso Ufficiale Marconista Domenico Nicoli

Il ruolo del Marconista è nato dalla volontà di molte Nazioni marinare a porre il problema della salvaguardia della vita umana in mare.
Traccio un profilo delle attività del Marconista, poi dirò di un salvataggio.
Per conseguire il certificato internazionale di Radio telegrafista di I classe si frequentava una scuola specializzata di 2 anni e 6 mesi. Materie di studio: Elettrotecnica, Radiotecnica, Radiogoniometria, Comunicazioni, Inglese, Diritto.
La pratica: ricevere e trasmettere con i famosi tasti Morse degli Uffici Postali. Terminato il corso, si sosteneva l’esame a Roma, al Ministero delle P.P.T.T. Il primo scoglio era ricevere e trasmettere un brano di 10 righe in Morse alla velocità di 180 caratteri al minuto (3 al secondo!). Errore massimo tollerato: 3 caratteri. La tensione tra i candidati era grande, palpabile. Alcuni bevevano strani intrugli per calmarsi! Altri abbandonavano quasi subito la cuffia sul banco e rinunciavano. Dopo questa prima severa selezione, il giorno dopo si affrontava la prova orale.
Incominciava la vita del navigante. Le difficoltà non erano finite. Non essendoci, in tabella, l’allievo Marconista, si avanzava la domanda, all’ufficio di armamento, per imbarcare come giovanotto di coperta. Di giorno si era agli ordini del nostromo per i lavori in coperta, di sera si saliva in Stazione Radio per fare pratica. L’impatto con la realtà era duro; sembrava impossibile distinguere, fra le tante chiamate sulla 500 Kc/s, quella che poteva interessare. Grande fu l’emozione della prima volta: usare il tasto e contattare la stazione R.T. di terra. Solo dopo alcuni mesi si riusciva a capire la cadenza di trasmissione dei vari operatori delle stazioni terrestri. Essenziale è stato l’aiuto dell’ufficiale Marconista titolare. Superato il tirocinio di qualche mese, si poteva imbarcare con la qualifica di II Ufficiale Marconista.
Era l’ultima prova, si sentiva addosso la responsabilità di lavorare da solo.
Il servizio cominciava alle 8 di bordo e con l’alternanza di 2 ore di lavoro e 2 di riposo, si arrivava alle 22, salvo imprevisti. Prima di smontare si provava il ricetrasmettitore di emergenza alimentato da accumulatori e s’inseriva l’autoallarme, un ricevitore sintonizzato solamente sulle frequenze di soccorso, con suoneria che scattava ad eventuali chiamate. Durante la giornata si ascoltava la “lista traffico” emessa dalle stazioni R.T. di terra per avvertirci di eventuali telegrammi e telefonate in arrivo. Nello stesso tempo si teneva “un orecchio” sulla frequenza di soccorso. Sembrava un po’ strano il riuscire a seguire contemporaneamente vari servizi e selezionare nel contempo 4 o 5 stazioni. Oltre a smaltire il traffico terra/mare, si riceveva (e si stampava) il bollettino meteo, il notiziario stampa dell’Ansa, l’ora esatta di Greenwich per controllare la marcia del cronometro di Plancia (fondamentale per le osservazioni astrali da parte degli Ufficiali di coperta). In navigazione lungo le coste canadesi le autorità marittime lanciavano avvisi per segnalare la presenza di iceberg.
Si rispettavano giornalmente gli appuntamenti con le navi sociali e nei viaggi Nord-Sud America si seguiva l’evolversi dei cicloni stagionali.
A volte, in porto, si dava una mano all’Ufficiale addetto al carico.
Quando la sosta della nave si prolungava, il Marconista ne approfittava per fare il turista. Ho parlato finora della vita sulle navi da carico.
Vi era poi il Marconista delle navi passeggeri. Doveva superare un esame per diventare di ruolo in una delle due società concessionarie: SIRM (navi del gruppo Finmare, prevalentemente passeggeri) e Telemar (navi da carico). Sulle navi passeggeri 4 marconisti coprivano i turni di guardia ed un Primo Ufficiale Marconista responsabile del servizio. Il lavoro era massacrante; si arrivava a lavorare anche 12 ore al giorno: 3 Ufficiali Marconisti fissi per l’ascolto sull’onda di soccorso, per collegamenti con tutte le stazioni radio RT e RTF interessate, ricezione dei bollettini meteo, del notiziario stampa italiano e americano, con i resoconti della Borsa di New York, e telefonate a non finire. Nelle poche ore libere c’era lo svago: incontri con gente di ogni nazionalità, musica, cinema, palestra e Buffet. Sui grossi transatlantici il tempo volava; ma quando la prua era diretta verso l’Italia, era il pensiero a volare: verso casa.
Le nuove tecnologie delle telecomunicazioni e del computer hanno superato le difficoltà di taluni radiocollegamenti intercontinentali che, quando riuscivano, davano soddisfazione: si aspettavano le ore notturne per sfruttare al meglio la propagazione ionosferica, scegliendo opportunamente la frequenza migliore nella banda delle onde corte. C’era anche il riconoscimento del Comandante. Un po’ di nostalgia. Richiamata talvolta da casuali segnali Morse nelle r.o. foniche: ma soprattutto perché la mente va ai ricordi di tempi di un passato migliore del presente, alla gioventù.
S O S. Al mio secondo imbarco ero su una petroliera di 60000 Tons in viaggio dal Golfo Persico verso gli Stati Uniti. In pieno Oceano Atlantico siamo investiti da vento di burrasca e mare grosso; visibilità molto ridotta. In ascolto sull’onda di soccorso riesco confusamente a captare un debole segnale di SOS. Tra la grande confusione di altre navi in zona, riesco a contattare la nave in pericolo: un cargo di 4 mila Tons in difficoltà per lo spostamento del carico, in balia delle onde da molte ore, senza dare alcuna posizione stimata. Avverto subito il Comandante che mi suggerisce di passare al radiogoniometro. Chiedo al collega della nave pericolante di inviarmi periodicamente segnali su frequenze più tranquille, meno disturbate. Aspetto. I minuti passano. Il panico e l’angoscia, per non poter captare il segnale, aumentano. Trascorrono ancora 15 o 16 minuti: nulla! Il Comandante mi
suggerisce d’insistere; dopo pochi minuti riesco a sentire il segnale e mi affretto ad individuare la direzione della nave pericolante (all’ascolto del minimo). Dal polare al vero (con la prora) la direzione del rilevamento diventa la rotta della nostra nave. Viene aumentata la velocità. Più si procedeva sulla rotta di soccorso più l’intensità del segnale della nave aumentava. Mi sentivo sollevato. Dopo 4 o 5 ore di navigazione, dopo una mia seconda misura di rilevamento, viene localizzata la nave sulla carta nautica, con sollievo di tutti e mio in particolare. Poco dopo vengono avvistati due gommoni – scialuppe in mare. Il Comandante si mette in contatto VHF e predispone il recupero dei naufraghi. Con forza 7/8 era impossibile, perché pericoloso avvicinarsi a quelle fragili scialuppe di salvataggio. Contatta una petroliera accorsa anch’essa in zona, e la invita di gettare fusti (aperti) di olio e petrolio intorno alla zona dei naufraghi. Solo così, con un mare di molto abbonacciato, siamo riusciti a mettere in salvo l’intero equipaggio e portarlo con noi verso New York. Intanto calava la sera e il mare s’impossessava della piccola preda. Un’esperienza indimenticabile.

Livorno, Giugno 2006

Lettura Andrea Doria

Posted on : 16-09-2012 | By : admin | In : Moderna

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APPROFONDIMENTI E INTEGRAZIONI AL CAPITOLO II

REGOLAMENTO PER EVITARE GLI ABBORDI IN MARE

Lettura: Andrea Doria, tragedia del mare: notte del 25 luglio 1956.

del Cap. Sup. L. C. Comandante della Compagnia Genovese di Armamento Sitmar Cruise.
 

Giuseppe Quartini

Il battello fanale di Nantucket, avamposto degli Stati Uniti verso l’Atlantico, situato in vicinanza delle secche dell’isola di Nantucket, è uno dei punti focali sulle rotte di navigazione del mondo ove transitano transatlantici, petroliere e navi da carico. Il bat­tello è anche radiofaro; è battuto bene dal radar. Il 16 maggio 1934 il transatlantico Olympic, nella nebbia (il radar non esisteva), lo sperona e lo affonda: persero la vita i sette uomini di equipaggio del battello.
Un accordo consensuale sulle rotte, non obbligatorio, tra alcune delle compagnie di navigazione che fanno servizio con New York, consigliava ai piroscafi passeggeri di passare a 20 miglia (M) a sud del battello se diretti a Est, vicino ad esso se diretti a Ovest (ora è TSS, rotta raccomandata IMO). Né la società Italia né la società svedese aderivano a questa accordo, ma ciò nonostante l’Andrea Doria seguiva la rotta consi­gliata.
Mai fu costruito, secondo l’architetto navale e giornalista C. K. Barnaby (v. biblio­grafia), un transatlantico passeggeri più lussuoso dell’Andrea Doria. L’aspetto, da ogni punto di vista, era superbo. La linea del cavallino, l’ammassarsi della sovrastruttura a terrazze e la posizione dell’unico fumaiolo erano esattamente quali dovevano essere: un profilo piacevole da qualsiasi prospettiva. L’A.D. fu varato nel 1951 dal famoso cantiere Ansaldo di Sestri Ponente, un sobborgo di Genova, e compì il viaggio inaugu­rale a New York nel gennaio 1953. I passeggeri rimasero stupefatti per la bellezza degli interni e per l’artistico arredamento. Lungo m. 213, aveva una stazza di 29083 tonn. e le sue turbine a vapore (35000 HP) gli davano una velocità di 23 nodi. Fu la prima passeggeri costruita nel dopoguerra, orgoglio di Genova (A. Doria fu ammiraglio e doge del 16° secolo. Tra le sue battaglie, epica quella vinta contro i Francesi per la difesa della Corsica).
La nave svedese Stockholm, in paragone, assomigliava più ad una grande nave da carico, con i bighi accoppiati e la sovrastruttura ammassata, che ad una passeggeri. Dipinto tutto di bianco, era tenuto con pulizia immacolata. Lungo m 158, la sua stazza era di 12644 tonn.; fu costruito a Guthenburg; era azionato da due motori Diesel con un totale di 14600 HP che conferiva una velocità di 19 nodi.
Il 25 luglio 1956 lo Stockholm era agli inizi di una traversata di ritorno in patria e l’Andrea Doria si avvicinava alla fine del suo viaggio verso New York. Lo S. avrebbe dovuto doppiare il battello faro di Nantucket (N) e poi fare rotta in modo da scapolare Sable Island e intraprendere la traversata oceanica verso la Svezia, aggirando la Sco­zia. Il D. aveva lasciato Genova, Napoli, Cannes e Gibilterra; era atteso in banchina a New York il mattino seguente alle 6.00.
Quando era ancora a 150 M dal battello di N. il D. era incappato in una nebbia che si era progressivamente infittita. Il comandante Pietro Calamai era continuamente in plancia, e con lui i due ufficiali di guardia (C. Franchini ed E. Giannini); Franchini osservava al radar. La sala macchine era stata avvertita, la velocità un po’ ridotta (21,8 Kn). Le porte stagne chiuse. I fischi prolungati di sirena avvertivano, con il loro suono cupo, qualunque nave a portata di udito. Un marinaio era al timone e tre di vedetta.
Nei saloni tre orchestre suonavano musica da ballo nelle tre classi che ospitavano 1134 passeggeri. L’AD. aveva 572 uomini di equipaggio.

Alle 22.20 Franchini annuncio: “Nantucket al traverso, distanza 1 miglio”. Squillò il telefono della vedetta di prua: “debole suono del corno da nebbia sulla dritta”. Cala­mai, in aletta, si voltò verso la plancia e ordinò “governare per 269”. Era la rotta per New York. Improvvisamente, alle 22.45 Franchini dal radar annunciò: c’è una nave, viene verso di noi; e su rilevamento 4° a dritta, distanza 17 M. “Strano” disse intanto Franchini “che una nave venga verso Est in questa zona”; “molto strano” rispose Ca­lamai.
Alle 20.30 di quel mercoledì lo S. era già a circa 130 M dalla costa newyorkese e stava avvicinandosi a Nantucket. Era di guardia il 3° ufficiale J. Carstens, 26 anni. Lo S. seguiva rotta 90°. Alle 21.40 circa il comandante Nordenson, dopo aver osservato la carta, ordinò al timoniere di accostare di 3° a sinistra per seguire rotta 87°. Si può in­tuire che avesse l’intenzione di avvicinarsi quanto più possibile al battello-faro N. Il cielo era sereno o quasi. Lasciò il ponte dopo aver dato ordine all’ufficiale che lo si chiamasse immediatamente in caso di nebbia e che non si lasciasse avvicinare da alcu­na nave a meno di 1 miglio e che lo si chiamasse al traverso di N. Carstens procedette al controllo della posizione rilevando al radiogoniometro Nantucket (f = 314 Khz), poi il radiofaro di Block Islands, e successivamente quello di Pollock Rip. Trovò la nave fuori rotta, derivata verso nord, probabilmente a causa della corrente; ordinò al timo­niere 89°. A Carstens sfuggì un segnale r.t. di Nantucket molto importante: 4 linee ogni minuto, avvertimento di nebbia fitta in zona. Dopo un altro Pn, a nord della rotta, corresse di ancora due gradi, a dritta, la prora del timoniere. Oltre al posizionamento Carstens aveva un’altra preoccupazione: il timoniere Larsen, al primo imbarco su una nave di linea, si distraeva facilmente. Il grafico del registratore di rotta mostrava chia­ramente alambardate fino a 7° a dritta ed a sinistra della prora.
23.00 Stockholm; l’ufficiale si accorge che al radar c’è un bersaglio a 12 M, leg­germente a sinistra della prua.
23.00 plancia del Doria. Distanza 7 M; il rilevamento “sale”: è chiaro che l’altra nave passerà a dritta, 1 M (CPA), “dritta con dritta”.
23.05 plancia Stockholm: distanza 10 M, il rilevamento è incerto. “Larsen, la bussola” domanda l’ufficiale; “90” risponde il timoniere. Dopo un po’ “Larsen la bus­sola”; “91” è la risposta. Il punto luminoso, sul radar, sembra 2° a sinistra. (nota: il radar dello S. non era asservito alla girobussola. Per fare il tracciamento – plotting­ Carstens doveva calcolare o il Rilv (P' + ρ') o il polare ρ (Rilv – Pv); ρ' è il polare corrispondente alla prora P' istantanea fornitagli dal timoniere). È comprensibile l’oggettiva difficoltà di lavoro in cui si trovava Carstens.
23.06 A.D. ρ = 15° a dritta, distanza 3,5 M Calamai al timoniere:” “4° a sini­stra”. Il comandante e Giannini erano sempre sull’aletta a scrutare nella nebbia l’apparire delle luci della nave e udirne i segnali.
23.07 S. distanza 6 M. Dopo il tracciamento l’ufficiale rimane sorpreso dell’alta velocità del bersaglio e pensa ad una nave militare in esercitazione. Si preoccupa per­ché non scorge ancora le luci dei fanali. Non sa che sta per entrare in zona di nebbia; il cielo è parzialmente nuvoloso.
23.08 S. Il marinaio sull’aletta di sinistra grida a Carstens: “luce a sinistra”. An­che il marinaio in coffa: “luci a sinistra, 20 gradi”. L’ufficiale comincia a vedere il fa­nale rosso; distanza radar: 2 miglia. Valuta che le due navi passeranno a meno di 1 miglio; si ricorda della consegna del suo comandante, ordina al timoniere: “22° a drit­ta, deciso”. Dimentica di segnalare l’accostata con un fischio breve.
23.09 A.D. distanza 1,5 M; ρ = 35° a dritta. Calamai e Giannini scorgono una luce opaca nella nebbia; poco dopo vedono i due fanali bianchi: valutano che la nave passerà regolarmente.
23.10 S. Carstens si accorge, stupefatto, che i fanali bianchi di testa d’albero rive­lano una direzione di spostamento della nave che potrebbe essere di collisione con lo S. Va sull’aletta di sinistra e vede davanti a se lunghe file di oblò della fiancata destra di una grande nave tutta illuminata che sta per attraversare la rotta dello Stockholm. Ter­rorizzato ordina: “tutto il timone a dritta”; si lancia sul telegrafo e mette “indietro tutta”. Chiude le porte stagne.
23.10 A.D. Giannini inforca il binocolo ed inorridisce: “sta girando … mostra il rosso … ci viene addosso!”. Calamai ordina: “timone tutto a sinistra”. Il timoniere Vi­sciano si aggrappa alle caviglie della ruota e furiosamente esegue l’ordine. Franchini aziona la sirena: due fischi brevi. Dopo alcuni interminabili secondi gli scatti della girobussola avvertono che il transatlantico sta rispondendo alle sollecitazioni del ti­mone. Ma ormai è troppo tardi. Restano tutti impietriti davanti ad un fantasma sbuca­to dalla nebbia, trasformatosi in un grosso scafo bianco, acuminato che dirige minac­cioso verso di loro; attimi tremendi, in attesa dell’urto inevitabile.
23.11 Carstens e Larsen poterono soltanto guardare impotenti e atterriti che la robusta prora della loro nave, tra lo stridore delle lamiere, penetrava nella fiancata della AD.
La prua dello S. non era “cedevole”. Il dritto era particolarmente rinforzato per farsi strada nel ghiaccio. Con un angolo di 55° sfondò gli alloggi della classe cabina, proprio al di sotto della plancia, e penetrò fino ai serbatoi di carburante di dritta. La prua dello Stockholm s’incastrò in tal modo che anche gli alloggi prodieri dell’equipaggio dello S. si fracassarono. La paratia di collisione fu distrutta e finì in mare con circa trenta metri della prora, ma per fortuna la paratia tra la stiva 1 e la stiva 2 resse e lo Stockholm si salvò. L’AD. fu colpita a metà tra le ordinate 133 e 173. Il primo macchinista Pazzaglia, nella sua relazione, dice che si era verificata una pene­trazione di acqua e nafta dalla parte alta della paratia prodiera della centrale elettrica, lato destro. La nave non avrebbe dovuto sbandare più di 7°, per allagamento asimme­trico; oppure avrebbe dovuto avere sistemi di bilanciamento atti a ridurre lo sbanda­mento entro i 7°. Invece il D. nel giro di pochi minuti sbandò di 18° portando il limite di dritta del ponte delle paratie stagne vicino all’acqua; poco dopo sotto l’acqua, per­mettendo al mare di rovesciarsi al di sopra delle paratie stagne intatte. Quali i motivi?
Nell’imminenza dell’arrivo i bagagli dei passeggeri erano già accatastati sul lato di dritta del ponte passeggiata; i serbatoi di combustibile in cui si era verificato 1’urto erano sistemati da ambo i lati di una stretta galleria centrale. All’estremità prodiera di questa galleria c’era una piccola sala pompe che conteneva le valvole di regolazione del flusso dei serbatoi e quelle che servivano ad allagarli con l’acqua di mare. L’estremità poppiera di questa galleria, lunga quasi 17 metri, portava alla centrale elettrica principale e poiché la galleria era stretta, ed era quasi al centro nave, limitata da ogni lato da fasciame stagno ed a tenuta di combustibile, non si era ritenuto neces­sario munirla di porta stagna. Ciò con l’ovvia approvazione degli Istituti di classifica­zione.
Questi due fattori contribuirono alla perdita della Andrea Doria: la galleria fu inondata dai serbatoi di dritta, squarciati dall’urto, e non fu possibile raggiungere le valvole che servivano ad allagare i serbatoi di sinistra (vuoti al temine della traversa­ta, come quelli di dritta) e ad equilibrare così i momenti di sbandamento. Né fu possibi­le impedire all’acqua, nella galleria inondata, di rovesciarsi all’interno della sala cen­trale elettrica. Lo sbandamento aumentò e si portò a 22°. Constatata l’impossibilità di allagare i serbatoi di sinistra, si tentò il prosciugamento delle sentine, il travaso acqua di lavanda dalla cisterna di dritta a quella di sinistra, il travaso nafta dai doppi fondi dritta a cisterna di sinistra, ma gli interventi non sortirono l’effetto desiderato.
Calamai si convinse subito che era impossibile ammainare le lance di sinistra, dato 1o sbandamento di 18° ed oltre. Le lance erano su gru moderne a scivolo destinate ad operare con uno sbandamento massimo di 15°. Si riuscì ad ammainare, con qualche problema, soltanto le lance di dritta, con un capacità complessiva del 60% del totale delle persone presenti a bordo. Per aiutare l’imbarco dei passeggeri sulle lance, queste vennero accostate alla poppa della nave, da dove avvenne il trasbordo.
I segnali di S.O.S. inviati dall’AD. furono raccolti dalle numerose navi in zona e dall’efficiente servizio della Coast Guard che inviò navi pattuglia e rimorchiatori. Il marconista dell’Ile de France raccolse la chiamata di soccorso ed il comandante invertì la rotta per dirigere sul D. Intanto tre lance dell’AD. avevano raggiunto lo Stockholm, occupate dal personale di camera e cucina dell’Andrea Doria e da qualche passeggero. Questo fatto venne giudicato severamente e negativamente dall’equipaggio della nave svedese e dalla stampa americana. Peraltro l’equipaggio del D., nella grandissima maggioranza, si comportò benissimo, in considerazione dell’allarmante sbandamento che intanto aveva raggiunto 30°, presagio di un non lontano affondamento. L’evacuazione dei passeggeri divenne più ordinata dopo l’arrivo dell’Ile de France. Vecchi, malati e bambini furono in molti casi calati già dentro le reti allungate lungo la fiancata di dritta del D., pronti per essere trasbordati dall’equipaggio sulle vicine lance. Lo sbarco proseguì in fretta ed alle 4 del mattino il comandante in 2a O. Magagnini ed il l° ufficiale L. Oneto riferirono che tutti i superstiti erano stati sbarcati.
La prua dello S., come una sonda, era entrata nella cabina 52 e aveva trascinato via la dodicenne Linda Morgan, proiettandola “al sicuro” dietro un paraonde dello S. dove restò protetta da altri danni. Qui fu ritrovata, mentre dormiva, da due uomini dell’equipaggio dello S., con grande stupore quando scoprirono che Linda era passeggera dell’AD. Quando i passeggeri ebbero ormai lasciato la nave, Calamai ordinò all’equipaggio an­cora a bordo di abbandonare la nave, ma chiese che rimanessero dei volontari fino all’arrivo dei rimorchiatori. Sperava di far rimorchiare la nave in acque basse.
La valorosa e lunga lotta degli Ufficiali di Macchina contro il mare irrompente era finita un’ora prima. Erano rimasti ai loro posti nonostante lo sbandamento ed il rischio di rovesciamento, cercando di tenere in funzione pompe e luci fino all’ultimo momen­to; questo arrivò quando l’acqua, salendo, raggiunse la dinamo in sala macchina prin­cipale e non si poté fare più niente.
Lo sbandamento aumentava ancora, quando alle 5.30 raggiunse 40°; Calamai disse agli Ufficiali ancora a bordo di abbandonare la nave imbarcando nell’ultima lancia di salvataggio ancora sospesa, la N° 11. Quando gli Ufficiali si accorsero che Calamai aveva in animo di rimanere sulla AD., ritornarono indietro avvertendolo che non avrebbero lasciato la nave senza di lui. Calamai si lascio convincere.
L’Ile de France raccolse 753 persone; lo Stockholm 545; la nave-trasporto USA 158; il Cap Anne 129, il cacciatorpediniere Allen 77 (Calamai ed i suoi ufficiali erano tra questi), la petroliera Tidewater 1, 1’ultimo passeggero: si era addormentato nell’ospedale della nave. Per quanto se ne sappia nessuno in vita fu lasciato a bordo del transatlantico in agonia. Fu un’impresa notevole e, in se stessa, un tributo all’attaccamento al dovere degli ufficiali e dei marinai. Mancarono all’appello 43 persone, decedute al momento della collisione.
L’Ile de France, completata l’opera di salvataggio, sostò 30 minuti; poi partì per New York: ma prima girò attorno al transatlantico agonizzante abbassando la bandiera tre volte e lanciando tre lunghi fischi di sirena: ultimo saluto. Alle 10.09, dopo 11 ore dalla collisione, l’Andrea Doria si rovesciò ancora sul fianco destro e s’inabisso con le luci ancora accese sui ponti e una pompa che pompava acqua dai locali allagati.
Lo Stockholm, a causa dello squarcio di prua, ebbe le due ancore incattivate nelle lamiere contorte; le catene, uscite dal pozzo, penzolavano in mare e s’incagliarono sul fondo. Poco dopo l’affondamento dell’A.D., liberato dalle catene, scortato dalla pat­tuglia della Coast Guard, rientrò a New York. Nel sinistro perse tre uomini di equi­paggio e quattro furono gravemente feriti, tutti quelli che erano nelle cabine di castello .
………. Udienze preliminari in Tribunale a New York . .
Gli avvocati della compagnia di navigazione Italia erano capeggiati da E. Underwood che si concentrò sui punti deboli delle tesi svedesi:
“Signor Carstens, se 6 minuti prima della collisione lei stimò l’AD. a 10 miglia di distanza”, ma intervenne subito Carstens dicendo che “l’ora era da considerarsi pura­mente indicativa”, “ma ammettiamo pure che i minuti, anziché 6 siano stati 9” replico Underwood, “se in tale intervallo lo S. a 18 nodi percorse 2,7 M, l’A.D. avrebbe dovuto coprire 7,3 M, giusto?”. Carstens rispose affermativamente. “Le chiedo: a quale veloci­tà l’A.D. avrebbe dovuto percorrere 7,3 M?”
“Beh, dunque, avrebbe dovuto navigare a circa 40 nodi”
“49 nodi!” lo corresse l’avvocato, che voleva dimostrare l’inattendibilità delle sue battute radar.
Underwood lo accusò di aver atteso troppo a lungo prima di ordinare l’accostata a dritta, ed inoltre di non aver sospettato che era la nebbia a nascondere le luci del D.
Gli avvocati della compagnia svedese Svenska erano capeggiati da Haight la cui tesi poggiava sull’eccessiva velocità dell’A.D. in nebbia, sull’accostata a sinistra contraria alle norme, (per la precisione le norme in vigore a quel tempo diceva­no: «preferabily to the right») allo sbandamento immediato o quasi di 18°, sull’esigua stabilità, e sulla scomparsa del giornale di bordo della nave. L’avvocato chiese al comandante di tracciare su una tavola di carteggio la rotta delle due navi, in base ai dati da lui ricordati. Calamai eseguì il disegno e rimase a fissarlo pensosamente. “Allora lo S. era o non era su rotta parallela a quella dell’A.D.?” incalzò, con cor­tesia, Haight. Il comandante, senza distogliere lo sguardo dal foglio rispose: “No, lo vedo adesso dal diagramma”. L’avvocato voleva dimostrare che le due navi erano in rotta di collisione già prima delle ultime reciproche accostate.
Mentre gli ufficiali dello Stockholm si presentarono in tribunale a New York in di­visa e il comandante Nordenson difese sicuro l’operato del suo terzo ufficiale durante l’interrogatorio, malgrado le contraddizioni emerse, il comandante Calamai, abbattuto fisicamente e moralmente (“la sua vita è stata distrutta insieme con l’A.D”. – disse la figlia Silvia -), si presentò in abito borghese. Fu reticente in talune parti della sua espo­sizione, in particolare sulla stabilità (su cui, disse lui, avrebbero deposto gli ufficiali di macchina). L’opinione pubblica americana non approvò questo comportamento.
Mentre la società svedese continuò a tenere nel suo organico sia Carstens sia Nor­denson, la Soc. Italia abbandonò Calamai, tenne in “quarantena” gli ufficiali del Doria.
Considerazioni finali. Il radar, a quei tempi, era uno strumento nuovo e poco co­nosciuto a molti ufficiali. Non sempre funzionava bene.
Il regolamento (1948) per evitare gli abbordi in mare non era così rigido, nella re­gola di comportamento di due navi in controcorsa o quasi, come lo è l’odierno (1972) che impone categoricamente ad entrambe le navi l’accostata a dritta.
Il venire a sinistra di Calamai, nella sua versione cinematica, avrebbe evitato di tagliare la rotta dell’altra nave.
La decisa accostata a sinistra ordinata da Calamai all’ultimo momento, già in vista dello Stockholm in avvicinamento, non ha influito sulla collisione che sarebbe avvenu­ta comunque; quando le due navi si urtarono l’Andrea Doria era all’inizio dell’accostata: aveva accostato di soli 5° (v. grafico); il resto dell’accostata fu la con­seguenza dell’abbordo con lo S. e del timone dell’A.D. tutto a sinistra.
Si fa notare, per inciso o per curiosità, che se Calamai avesse fermato le macchine appena notata la virata dello S., giungendo al punto dell’inevitabile abbordo con qual­che manciata di secondi di ritardo, il D. molto probabilmente sarebbe diventato nave speronante. Le conseguenze della tragedia sarebbero state molto più gravi; quasi cer­tamente l’urto avrebbe causato l’incendio: la motonave S. aveva le casse piene di diesel!
Sulla cinematica delle due navi non ci sono più dubbi dopo l’apprezzabilissimo studio fatto da un direttore di macchina americano: Mr. Carrothers. In base agli ele­menti forniti dai tracciati di rotta delle navi, Carrothers, direttore di macchina nonché ispettore del reparto costruzioni e riparazioni della Mathson Navigation Co., ha rico­struito i movimenti delle navi fino al momento della collisione e da questo studio è risultato evidente che l’ordine dato dal 3° ufficiale dello Stockholm di accostare di 22° a dritta 3 minuti prima della collisione fu l’errore fatale e la causa finale del disastro.
L’ondata di colpevolezza che si era abbattuta su Calamai è stato il frutto di valuta­zioni superficiali fatte da taluni giornalisti più portati al sensazionalismo della notizia che al professionismo dell’informazione.
La società di navigazione “Italia” avrebbe dovuto controbattere a molte accuse, al­cune delle quali decisamente infamanti ed infondate.
Non le mancavano i canali isti­tuzionali per organizzare conferenze e dibattiti.
Ritorniamo sulla chiusura anticipata delle udienze. Gli ufficiali di macchina dell’A.D., rimasti in silenzio per ben tre mesi e mezzo di udienze, durante i quali si videro maltrattare nella loro dignità di

uomini, avrebbero dimostrato che la nave si perse per le vie d’acqua aperte dallo speronamento e non per l’incapacità del personale di raddrizzare la nave o per l’insufficienza del sistema di bilanciamento. Questi valo­rosi uomini della Macchina, ufficiali e comuni, capitanati da Luigi Pazzaglia, si prodigarono fino all’ultimo, in condizioni di lavoro difficile e rischioso.
L’illusione che con una formale “stretta di mano” (tra le due compagnie di naviga­zione) si potesse mettere a tacere la coscienza, fu ingiusta quanto la convinzione che l’accordo avrebbe ricondotto alla normalità la vita di alcuni degli uomini che di perso­na avevano vissuto la tragedia del Nantucket. Ma questo non poteva interessare gli assicuratori. In seguito ad indiscrezioni si vennero a conoscere le somme che essi ver­sarono alle casse delle due società. Le 1200 vertenze con terzi sarebbero state composte attingendo il denaro dal fondo di cauzione che già era stato versato dalle due società armatrici.

Chiudiamo con le parole del D.M. mister Carrothers: “Per quelli che hanno inte­resse nello studio delle cause degli incidenti, sulla ricerca della verità, non c’è al­cuna soddisfazione puntare il dito su colui che ha sbagliato; ma i fatti sono fatti ed essi hanno in se stessi una loro eloquenza: gli incidenti non accadono; essi sono cau­sati. Esaminando le cause si possono sempre apprendere utili insegnamenti da e per gli uomini che sono e saranno responsabili sui posti di comando delle navi”.

(Per la bibliografia vedasi l’ultima pagina del libro)

Appunti di un Lupo di mare

Posted on : 15-09-2012 | By : admin | In : Moderna

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APPROFONDIMENTI E INTEGRAZIONI AL CAPITOLO II

REGOLAMENTO PER EVITARE GLI ABBORDI IN MARE

Commenti, appunti e ricordi di un Lupo di mare: Comandante CSLC:
 

Mario Devoto

Le manovre. Dei giornalisti della domenica ben pochi sono coloro che possono esprimere una seria ed informata opinione in materia di navigazione; solo questi vanno ascoltati.
Il CPA è di vitale importanza, specialmente in zone di traffico denso e/o congestionato. In questi casi, come si sa, il comandante deve essere sul ponte. Un CPA troppo piccolo può portare a conseguenze gravi, a volte catastrofiche (v. Andrea Doria). Un mio comandante, bravo e stimato, voleva che giorno e notte si passasse ad almeno 1 miglio dalle navi controbordo e ad almeno 2 miglia da quelle raggiunte e/o raggiungenti. Mi capitò una volta, essendo comandante, in navigazione nel Mare del Nord, di eseguire il turn-around di 360° essendo sulla punta settentrionale della Sandettie, e avvertendo preventivamente Dover Traffic Control. Questo è uno dei punti di traffico più congestionati del mondo, incontro di tre direzioni diverse di navigazione, oltre al traffico costiero.

Il Capitano di armamento

Posted on : 06-08-2012 | By : admin | In : Diritto

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a cura del
Comandante Capitano Sup. lungo corso Mario GANDOLFI

Nella Marina mercantile questa figura professionale, adesso sorpassata, è stata per circa un secolo (1870-1970) il trait-d’union tra il proprietario-armatore e la sua nave.
Nella Marina mercantile velica colui che armava la nave, cioè la dotava di tutte le necessarie cose: vitto, attrezzature, strumenti e quant’altro necessario alla spedizione, ed arruolava l’equipaggio, era il capitano-comandante della stessa.
In moltissimi casi si occupava anche di reperire i passeggeri ed il carico per compiere la traversata. Le regole che si dovevano conoscere e rispettare erano poche ed “eterne”. Le Carte da presentare alle Autorità portuali e quelle attinenti alla merce trasportata erano pochissime. Il proprietario della nave, eventualmente con l’aiuto di un contabile, riusciva benissimo a gestire le sue navi in mare. Al tempo della vela i capitani rimanevano a bordo della nave una vita; sovente erano anche caratisti e/o parenti del proprietario. Gli equipaggi generalmente erano del borgo marinaro di provenienza del capitano o dei borghi vicini.
Questa situazione aziendale si modificò con l’avvento a bordo delle macchine motrici di propulsione. I capitali necessari all’impresa crebbero notevolmente, e necessariamente il proprietario-armatore divenne finanziere, allontanandosi dal contatto con le sue navi. A bordo s’installò una categoria, i macchinisti, che prima non esisteva. Aumentarono e si diversificarono le esigenze della nave e del suo armamento. Il comandante e gli equipaggi iniziarono ad essere regolarmente avvicendati.
Le “carte” crebbero a dismisura e le regole da conoscere e osservare divennero sempre più numerose. Infine, fattore molto importante, l’arrivo e la conseguente partenza della nave dal porto divennero cosa certa, ravvicinati nel tempo, programmabili; ciò influì radicalmente nella vita di bordo.
Nacque l’esigenza, per l’armatore, di dotare l’impresa di un uomo esperto, competente non solo nella condotta della nave, ma anche in tutte le attività terrestri attinenti alla nave e che essa genera. Necessitava che la persona fosse devota agli interessi della impresa marittima ed assolutamente di fiducia dell’armatore. La scelta di quest’uomo cadde, quasi esclusivamente, su un comandante di una sua nave che l’armatore riteneva idoneo alla bisogna; fu chiamato Comandante di armamento.

Egli si occupava di persona, se la società era piccola, o con l’aiuto di collaboratori se la società era grande, delle seguenti funzioni:
-seguiva l’operatività della nave, conoscendone sempre la posizione e conseguentemente il tipo di attività che in quel momento stava svolgendo.
-nell’800 discuteva col comandante; nel ‘900 con l’Autorità marittima, in ultimo anche con i sindacati dei lavoratori, l’organizzazione del lavoro a bordo formando le tabelle di armamento,
-provvedeva alla selezione del personale.
-controllava, attraverso frequenti visite a bordo e/o i rapporti di viaggio, le rotte seguite dalle navi, i tempi incontrati, i porti visitati, i tempi nei porti, le avarie, gli incidenti, la manutenzione a bordo, le necessità future come provviste, pezzi di rispetto ecc.
-programmava la manutenzione, la fornitura delle provviste e dei pezzi di rispetto.
-curava, per quanto possibile, la formazione del personale.
-sopraintendeva a tutte le operazioni necessarie, inclusi i rapporti con i periti delle Assicurazioni e P&I in caso di avarie e/o incidenti.
-eseguiva perizie di navi (per esempio in caso di compra-vendita).
-veniva sempre ascoltato in caso di decisioni di compra-vendita e di demolizione di navi.
-cooperava con gli ispettori degli Istituti di classifica.
-supervisionava piani di carico e operazioni di caricazione-discarica specialmente se particolari.
-visionava i contratti di noleggio per la parte di sua competenza (tipo di viaggi, volume di stiva, tipo di carico, particolarità di porti, controstallie…
-studiava e faceva applicare sulle navi della flotta tutte le nuove leggi e regolamenti.
-teoricamente avrebbe dovuto conoscere le leggi e regole vigenti in tutti i porti del mondo per informare tempestivamente i comandi dando le istruzioni di comportamento.
Sino agli anni ’20 del secolo scorso il capitano di armamento è stato una figura centrale dell’impresa marittima.
A cominciare da quegli anni il progresso e la complessità della navi, la velocità sicura che permetteva di fare la traversata da Genova a Buenos Ayres in soli 23 giorni, le macchine sempre più complesse, l’elettricità a bordo, la radiotelegrafia, la possibilità di scambio di notizie tra continenti praticamente immediata, la creazione di flotte sempre più numerose e diversificate, hanno indotto le Società Armatrici a specializzare le funzioni assolte sino allora dal Capitano d’Armamento.
Adesso le moderne società si sono dotate di:
dipartimento personale navigante che copre anche le varie specializzazioni, cosi, ecc.
dipartimento per le riparazioni e manutenzione,
dipartimento per le nuove costruzioni.
dipartimento per le avarie e/o incidenti,
dipartimento per le provviste e per i pezzi di rispetto, ecc, ecc.
La figura di un unico responsabile è adesso scomparsa dagli uffici delle Società di navigazione che sono ormai diventate imprese modernamente attrezzate.

Incaglio della Exxon valdes

Posted on : 05-08-2012 | By : admin | In : Diritto

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Sintesi dell’articolo del
Comandante Capitano Sup. lungo corso Augusto MERIGGIOLI
pubblicato su Rivista marittima, febbraio 2000.

A mezzanotte del 24 marzo 1989 la superpetroliera Exxon Valdez, di quasi 300 metri di lunghezza e 20 di pescaggio, con le cisterne colme di greggio, da poco caricato dal giacimento dell’Alaska, al comando del Cap. Joseph Hazelwood, s’incaglia su uno spuntone di roccia noto come Bligh Reef, nella zona nord del canale Price William Sound. Spanderà in mare quasi 1/5 del suo carico, causando un vasto disastro ambientale. Il Bligh Reef è lontano circa 11 miglia dalla corsia dello schema di separazione di traffico. Nella prima parte del canale la navigazione è assistita dal pilota, che lascia la nave in rotta, nel canale. Dopo lo sbarco del pilota il comandante, sul ponte, sottovaluta una tendenziale deriva della nave verso lo scoglio; poco dopo se ne va in cabina e lascia sul ponte il 3°Ufficiale, patentato, ma non in possesso del brevetto per svolgere, da solo, il servizio di guardia in quel canale, regno dei ghiacci e delle nebbie. La nave continua a derivare ed esce dal canale, la cui navigazione è monitorata dal centro VTS di terra; il radarista del VTS non si accorge del pericoloso spostamento della nave verso lo scoglio e non dà, pertanto, nessun avviso al comandante. L’ufficiale, infine, è avvertito dalla vedetta che segnala la vicinanza della luce del faro di Bligh Reef. Anziché ordinare una tempestiva accostata per il rientro in rotta (“go to track”), l’ufficiale di guardia corregge la rotta per andare sul successivo punto di dirottamento (“go to waypoint”). La manovra del Terzo si rivela insufficiente; tardiva ed inutile risulta anche l’estremo tentativo di ampia accostata a dritta.
Nell’ inchiesta il Comandante viene incolpato (colpa grave) di non aver vigilato la navigazione lì dove era necessaria la sua presenza e la sua esperienza. Viene inoltre accusato di ubriachezza; da questa accusa verrà poi discolpato. Un giudice di un tribunale di New York ha chiesto un milione di dollari di cauzione per la libertà provvisoria del comandante! Al comandante fu ritirato il libretto di navigazione.
Gli investigatori hanno appurato che l’ufficiale di guardia ed i suoi colleghi soffrivano per accumulo di stanchezza per aver dovuto seguire, quasi ininterrottamente, tutte le fasi della caricazione della petroliera.
La STCW 78/95 (v. CD Allegato) prescrive che un ufficiale debba riposare 10 ore al giorno, di cui almeno 6 consecutive, e non possa lavorare più di 72 ore alla settimana. Ma questo dispositivo di legge, corroborato dalla Convenzione ILO (v. CD Allegato) è disatteso nella pratica di bordo, comprensibilmente, per la preoccupazione di perdere il posto di lavoro.
Con l’entrata in vigore, il 28 febbraio 1994, dell’Annesso III della Convenzione Marpol 73/78, tutte le navi che trasportano liquidi inquinanti costruite dopo il 6 luglio 1993 debbono avere il doppio scafo, al fine di evitare al massimo lo sversamento di petrolio.

Nota (ndr): a distanza di anni da quel disastro, l’area inquinata è raddoppiata; i pochi animali superstiti sono malati.

Il “naufragio”

Posted on : 04-08-2012 | By : admin | In : Diritto

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a cura del

Capitano Sup. Direzione Macchina e Capitano lungo corso
Arnaldo MARGIOTTA

Nel 1946 ero imbarcato da allievo su un vecchio cargo, il “Tritone”, diretto a Beirut. Vento fresco da NE, forza 6, onde di 2 o 3 metri, in aumento. Il bollettino meteo di Malta dava mare agitato (rough), tendente a molto agitato (very rough). Non c’era tra gli ufficiali apprensione alcuna. Due mesi prima avevamo preso ben altro mare e vento nella Guascogna! Al crepuscolo della sera stavo controllando la bussola con rilevazioni azimutali, quando mi accorgo che la nave sbanda: 1 , 2 , poi 3 gradi sulla dritta. Domando al Primo Ufficiale quale poteva essere la causa. La risposta, con noncuranza, è “forse i macchinisti fanno dei travasi, ma non preoccuparti!”. Sale sul ponte il comandante; poco dopo anche il direttore di macchina; i due si appartano per confabulare qualche minuto, ma senza apparente preoccupazione. Intanto la nave continua a sbandare e ad immergersi. Le onde in coperta si fanno più aggressive, la nave tiene la rotta, ma con difficoltà; il comandante si limita a dire al timoniere “attento a non traversarti”.
All’improvviso il Primo, eseguendo un ordine del comandante, suona campanelli e fischio; poco dopo il comandante annuncia “abbandono nave!”. Mi viene dato l’ordine di andare negli alloggi dell’equipaggio per ripetere a voce l’ordine di “ abbandono nave!”. Nel giro di pochi minuti: approntata la motobarca di dritta, per essere ammainata. Il “marconi” si avvicina al comandante e lo avverte che era riuscito ad inviare solamente il segnale SOS radiotelegrafico. Passano ancora una quindicina di minuti: la nave continua ancor più a sbandare e ad immergersi. La macchina si ferma. Incrocio il Primo che mi rifila il pacco dei “Libri di bordo” custoditi in un avvolgimento impermeabile. Mi dice di non abbandonarli mai e di riconsegnarli solamente a lui o al comandante. Uno alla volta imbarchiamo sulla lancia di salvataggio; il comandante, ancora sul ponte lance, tarda ad imbarcarsi; finché, dopo aver fatto una specie di saluto verso poppa (ma la bandiera non c’era) si avvia a saltare sulla motobarca. Appena toccata la cresta dell’onda la lancia di salvataggio si libera dai ganci a scocco; il motorista comincia ad avviare il motore ed il nostromo fila le barbette.

Io ero in uno stato di confusione e di eccitazione. Non vedevo però volti molto preoccupati in giro, ad eccezione di quelli del mozzo e del giovanotto. Ci allontaniamo dalla nave poco più di 1 miglio e poi a lento moto, gli giriamo attorno due o tre volte. Si notava, ormai, solamente una sagoma sempre più scura e sempre più sommersa, la poppa cominciava a scomparire; per qualche minuto la prua fu sollevata. Avvertivo un’atmosfera attonita, muta o quasi; ogni tanto sentivo parole del tipo “cedimento strutturale”. Non passa più di un’ora: la nave affonda. È difficile esprimere la tristezza, l’emozione di quel momento.
Due giorni dopo l’equipaggio è davanti all’Autorità marittima del porto di Limassol o di altra cittadina cipriota, non ricordo bene. Prima di entrare per l’interrogatorio i due Primi, di coperta e di macchina, s’intrattengono a parlare con l’uno e con l’altro membro dell’equipaggio. Il 1° di coperta si avvicina con espressione interrogativa ed inquieta, come per sondare i miei pensieri. Oso dire “che strano che una nave che aveva da poco più di due mesi superato i collaudi del Registro, per la riconferma della “classe”, possa aver avuto un cedimento strutturale così grande ed improvviso in un mare non proprio tempest!”. Ma l’ultima parola non la concludo perché il mio diretto superiore mi blocca subito: “Ciò che pensi tu non interessa a nessuno e te lo terrai stretto tra i denti” sibila con voce dura e sguardo tagliente. Incasso e annuisco. Rimasi più pensieroso di prima fino a quando, salutando il motorista, col quale ero un po’ in confidenza, sento che mi sussurra: “le navi che hanno da poco superato i collaudi valgono di più…”