In primo piano

Navigare negli stretti dei Dardanelli e nel Bosforo Navigare negli stretti dei Dardanelli e nel Bosforo a cura del Comandante Antonio Cherchi A differenza del Canale di Suez, di Corinto e di Panama, dove l’ingegno dell’uomo ha creato importanti...

Continua a leggere

Pianificazione del viaggio transoceanico  Pianificazione del viaggio transoceanico a cura del Comandante Renato Prolovich Le conoscenze tecniche necessarie per comandare oggi una nave oceanica nell’epoca dell’elettronica e della tecnologia...

Continua a leggere

Canale della Manica Il Canale della MANICA   a cura del Comandante Giovanni SANTORO   Ero giovane 3° Ufficiale quando, nel lontano 1958, con la carboniera “Teti” facevo i viaggi tra i porti atlantici degli...

Continua a leggere

Canale di Suez CANALE DI SUEZ   a cura del Professore di Navigazione Bruno GAZZALE Il canale di Suez ha una lunghezza navigabile di Km 193,25, dalla coppia di boe Hm. 195, a Port Said inizio braccio di levante,...

Continua a leggere

Canale di Panama CANALE DI PANAMA   a cura del Comandante Capitano Superiore di Lungo Corso Giuseppe QUARTINI Primo transito ufficiale nel Canale: 15 agosto 1904 lo S. S. “ANCON” da Colon, rada di Cristobal in...

Continua a leggere

  • Prev
  • Next

Il Capitano di armamento

Posted on : 06-08-2012 | By : admin | In : Diritto

0

a cura del
Comandante Capitano Sup. lungo corso Mario GANDOLFI

Nella Marina mercantile questa figura professionale, adesso sorpassata, è stata per circa un secolo (1870-1970) il trait-d’union tra il proprietario-armatore e la sua nave.
Nella Marina mercantile velica colui che armava la nave, cioè la dotava di tutte le necessarie cose: vitto, attrezzature, strumenti e quant’altro necessario alla spedizione, ed arruolava l’equipaggio, era il capitano-comandante della stessa.
In moltissimi casi si occupava anche di reperire i passeggeri ed il carico per compiere la traversata. Le regole che si dovevano conoscere e rispettare erano poche ed “eterne”. Le Carte da presentare alle Autorità portuali e quelle attinenti alla merce trasportata erano pochissime. Il proprietario della nave, eventualmente con l’aiuto di un contabile, riusciva benissimo a gestire le sue navi in mare. Al tempo della vela i capitani rimanevano a bordo della nave una vita; sovente erano anche caratisti e/o parenti del proprietario. Gli equipaggi generalmente erano del borgo marinaro di provenienza del capitano o dei borghi vicini.
Questa situazione aziendale si modificò con l’avvento a bordo delle macchine motrici di propulsione. I capitali necessari all’impresa crebbero notevolmente, e necessariamente il proprietario-armatore divenne finanziere, allontanandosi dal contatto con le sue navi. A bordo s’installò una categoria, i macchinisti, che prima non esisteva. Aumentarono e si diversificarono le esigenze della nave e del suo armamento. Il comandante e gli equipaggi iniziarono ad essere regolarmente avvicendati.
Le “carte” crebbero a dismisura e le regole da conoscere e osservare divennero sempre più numerose. Infine, fattore molto importante, l’arrivo e la conseguente partenza della nave dal porto divennero cosa certa, ravvicinati nel tempo, programmabili; ciò influì radicalmente nella vita di bordo.
Nacque l’esigenza, per l’armatore, di dotare l’impresa di un uomo esperto, competente non solo nella condotta della nave, ma anche in tutte le attività terrestri attinenti alla nave e che essa genera. Necessitava che la persona fosse devota agli interessi della impresa marittima ed assolutamente di fiducia dell’armatore. La scelta di quest’uomo cadde, quasi esclusivamente, su un comandante di una sua nave che l’armatore riteneva idoneo alla bisogna; fu chiamato Comandante di armamento.

Egli si occupava di persona, se la società era piccola, o con l’aiuto di collaboratori se la società era grande, delle seguenti funzioni:
-seguiva l’operatività della nave, conoscendone sempre la posizione e conseguentemente il tipo di attività che in quel momento stava svolgendo.
-nell’800 discuteva col comandante; nel ‘900 con l’Autorità marittima, in ultimo anche con i sindacati dei lavoratori, l’organizzazione del lavoro a bordo formando le tabelle di armamento,
-provvedeva alla selezione del personale.
-controllava, attraverso frequenti visite a bordo e/o i rapporti di viaggio, le rotte seguite dalle navi, i tempi incontrati, i porti visitati, i tempi nei porti, le avarie, gli incidenti, la manutenzione a bordo, le necessità future come provviste, pezzi di rispetto ecc.
-programmava la manutenzione, la fornitura delle provviste e dei pezzi di rispetto.
-curava, per quanto possibile, la formazione del personale.
-sopraintendeva a tutte le operazioni necessarie, inclusi i rapporti con i periti delle Assicurazioni e P&I in caso di avarie e/o incidenti.
-eseguiva perizie di navi (per esempio in caso di compra-vendita).
-veniva sempre ascoltato in caso di decisioni di compra-vendita e di demolizione di navi.
-cooperava con gli ispettori degli Istituti di classifica.
-supervisionava piani di carico e operazioni di caricazione-discarica specialmente se particolari.
-visionava i contratti di noleggio per la parte di sua competenza (tipo di viaggi, volume di stiva, tipo di carico, particolarità di porti, controstallie…
-studiava e faceva applicare sulle navi della flotta tutte le nuove leggi e regolamenti.
-teoricamente avrebbe dovuto conoscere le leggi e regole vigenti in tutti i porti del mondo per informare tempestivamente i comandi dando le istruzioni di comportamento.
Sino agli anni ’20 del secolo scorso il capitano di armamento è stato una figura centrale dell’impresa marittima.
A cominciare da quegli anni il progresso e la complessità della navi, la velocità sicura che permetteva di fare la traversata da Genova a Buenos Ayres in soli 23 giorni, le macchine sempre più complesse, l’elettricità a bordo, la radiotelegrafia, la possibilità di scambio di notizie tra continenti praticamente immediata, la creazione di flotte sempre più numerose e diversificate, hanno indotto le Società Armatrici a specializzare le funzioni assolte sino allora dal Capitano d’Armamento.
Adesso le moderne società si sono dotate di:
dipartimento personale navigante che copre anche le varie specializzazioni, cosi, ecc.
dipartimento per le riparazioni e manutenzione,
dipartimento per le nuove costruzioni.
dipartimento per le avarie e/o incidenti,
dipartimento per le provviste e per i pezzi di rispetto, ecc, ecc.
La figura di un unico responsabile è adesso scomparsa dagli uffici delle Società di navigazione che sono ormai diventate imprese modernamente attrezzate.

Incaglio della Exxon valdes

Posted on : 05-08-2012 | By : admin | In : Diritto

0

Sintesi dell’articolo del
Comandante Capitano Sup. lungo corso Augusto MERIGGIOLI
pubblicato su Rivista marittima, febbraio 2000.

A mezzanotte del 24 marzo 1989 la superpetroliera Exxon Valdez, di quasi 300 metri di lunghezza e 20 di pescaggio, con le cisterne colme di greggio, da poco caricato dal giacimento dell’Alaska, al comando del Cap. Joseph Hazelwood, s’incaglia su uno spuntone di roccia noto come Bligh Reef, nella zona nord del canale Price William Sound. Spanderà in mare quasi 1/5 del suo carico, causando un vasto disastro ambientale. Il Bligh Reef è lontano circa 11 miglia dalla corsia dello schema di separazione di traffico. Nella prima parte del canale la navigazione è assistita dal pilota, che lascia la nave in rotta, nel canale. Dopo lo sbarco del pilota il comandante, sul ponte, sottovaluta una tendenziale deriva della nave verso lo scoglio; poco dopo se ne va in cabina e lascia sul ponte il 3°Ufficiale, patentato, ma non in possesso del brevetto per svolgere, da solo, il servizio di guardia in quel canale, regno dei ghiacci e delle nebbie. La nave continua a derivare ed esce dal canale, la cui navigazione è monitorata dal centro VTS di terra; il radarista del VTS non si accorge del pericoloso spostamento della nave verso lo scoglio e non dà, pertanto, nessun avviso al comandante. L’ufficiale, infine, è avvertito dalla vedetta che segnala la vicinanza della luce del faro di Bligh Reef. Anziché ordinare una tempestiva accostata per il rientro in rotta (“go to track”), l’ufficiale di guardia corregge la rotta per andare sul successivo punto di dirottamento (“go to waypoint”). La manovra del Terzo si rivela insufficiente; tardiva ed inutile risulta anche l’estremo tentativo di ampia accostata a dritta.
Nell’ inchiesta il Comandante viene incolpato (colpa grave) di non aver vigilato la navigazione lì dove era necessaria la sua presenza e la sua esperienza. Viene inoltre accusato di ubriachezza; da questa accusa verrà poi discolpato. Un giudice di un tribunale di New York ha chiesto un milione di dollari di cauzione per la libertà provvisoria del comandante! Al comandante fu ritirato il libretto di navigazione.
Gli investigatori hanno appurato che l’ufficiale di guardia ed i suoi colleghi soffrivano per accumulo di stanchezza per aver dovuto seguire, quasi ininterrottamente, tutte le fasi della caricazione della petroliera.
La STCW 78/95 (v. CD Allegato) prescrive che un ufficiale debba riposare 10 ore al giorno, di cui almeno 6 consecutive, e non possa lavorare più di 72 ore alla settimana. Ma questo dispositivo di legge, corroborato dalla Convenzione ILO (v. CD Allegato) è disatteso nella pratica di bordo, comprensibilmente, per la preoccupazione di perdere il posto di lavoro.
Con l’entrata in vigore, il 28 febbraio 1994, dell’Annesso III della Convenzione Marpol 73/78, tutte le navi che trasportano liquidi inquinanti costruite dopo il 6 luglio 1993 debbono avere il doppio scafo, al fine di evitare al massimo lo sversamento di petrolio.

Nota (ndr): a distanza di anni da quel disastro, l’area inquinata è raddoppiata; i pochi animali superstiti sono malati.

Il “naufragio”

Posted on : 04-08-2012 | By : admin | In : Diritto

0

a cura del

Capitano Sup. Direzione Macchina e Capitano lungo corso
Arnaldo MARGIOTTA

Nel 1946 ero imbarcato da allievo su un vecchio cargo, il “Tritone”, diretto a Beirut. Vento fresco da NE, forza 6, onde di 2 o 3 metri, in aumento. Il bollettino meteo di Malta dava mare agitato (rough), tendente a molto agitato (very rough). Non c’era tra gli ufficiali apprensione alcuna. Due mesi prima avevamo preso ben altro mare e vento nella Guascogna! Al crepuscolo della sera stavo controllando la bussola con rilevazioni azimutali, quando mi accorgo che la nave sbanda: 1 , 2 , poi 3 gradi sulla dritta. Domando al Primo Ufficiale quale poteva essere la causa. La risposta, con noncuranza, è “forse i macchinisti fanno dei travasi, ma non preoccuparti!”. Sale sul ponte il comandante; poco dopo anche il direttore di macchina; i due si appartano per confabulare qualche minuto, ma senza apparente preoccupazione. Intanto la nave continua a sbandare e ad immergersi. Le onde in coperta si fanno più aggressive, la nave tiene la rotta, ma con difficoltà; il comandante si limita a dire al timoniere “attento a non traversarti”.
All’improvviso il Primo, eseguendo un ordine del comandante, suona campanelli e fischio; poco dopo il comandante annuncia “abbandono nave!”. Mi viene dato l’ordine di andare negli alloggi dell’equipaggio per ripetere a voce l’ordine di “ abbandono nave!”. Nel giro di pochi minuti: approntata la motobarca di dritta, per essere ammainata. Il “marconi” si avvicina al comandante e lo avverte che era riuscito ad inviare solamente il segnale SOS radiotelegrafico. Passano ancora una quindicina di minuti: la nave continua ancor più a sbandare e ad immergersi. La macchina si ferma. Incrocio il Primo che mi rifila il pacco dei “Libri di bordo” custoditi in un avvolgimento impermeabile. Mi dice di non abbandonarli mai e di riconsegnarli solamente a lui o al comandante. Uno alla volta imbarchiamo sulla lancia di salvataggio; il comandante, ancora sul ponte lance, tarda ad imbarcarsi; finché, dopo aver fatto una specie di saluto verso poppa (ma la bandiera non c’era) si avvia a saltare sulla motobarca. Appena toccata la cresta dell’onda la lancia di salvataggio si libera dai ganci a scocco; il motorista comincia ad avviare il motore ed il nostromo fila le barbette.

Io ero in uno stato di confusione e di eccitazione. Non vedevo però volti molto preoccupati in giro, ad eccezione di quelli del mozzo e del giovanotto. Ci allontaniamo dalla nave poco più di 1 miglio e poi a lento moto, gli giriamo attorno due o tre volte. Si notava, ormai, solamente una sagoma sempre più scura e sempre più sommersa, la poppa cominciava a scomparire; per qualche minuto la prua fu sollevata. Avvertivo un’atmosfera attonita, muta o quasi; ogni tanto sentivo parole del tipo “cedimento strutturale”. Non passa più di un’ora: la nave affonda. È difficile esprimere la tristezza, l’emozione di quel momento.
Due giorni dopo l’equipaggio è davanti all’Autorità marittima del porto di Limassol o di altra cittadina cipriota, non ricordo bene. Prima di entrare per l’interrogatorio i due Primi, di coperta e di macchina, s’intrattengono a parlare con l’uno e con l’altro membro dell’equipaggio. Il 1° di coperta si avvicina con espressione interrogativa ed inquieta, come per sondare i miei pensieri. Oso dire “che strano che una nave che aveva da poco più di due mesi superato i collaudi del Registro, per la riconferma della “classe”, possa aver avuto un cedimento strutturale così grande ed improvviso in un mare non proprio tempest!”. Ma l’ultima parola non la concludo perché il mio diretto superiore mi blocca subito: “Ciò che pensi tu non interessa a nessuno e te lo terrai stretto tra i denti” sibila con voce dura e sguardo tagliente. Incasso e annuisco. Rimasi più pensieroso di prima fino a quando, salutando il motorista, col quale ero un po’ in confidenza, sento che mi sussurra: “le navi che hanno da poco superato i collaudi valgono di più…”

La teoria e la pratica del Diritto della Navigazione

Posted on : 03-08-2012 | By : admin | In : Diritto

0

a cura del
Comandante Capitano di lungo corso Sergio TREVISAN

Alle Medaglie d’Oro al valor militare della nostra Marina. Un nome per tutti: Luigi Durand de la Penne, uomo di straordinario coraggio e grande lealtà, ammirato ed insignito anche dal nemico.
Verso la conclusione del mio primo viaggio da comandante, era l’agosto del 1956, portavo la rinfusiera (bulk-carrier) verso Trieste (provenendo dal Mar Nero) ed ero a poche ore dall’arrivo: stavo costeggiando le isole della Dalmazia per infilare la nave nel filone più forte della corrente, che lì è favorevole per rotta NW. Desideravo anticipare l’ETA e, conseguentemente, la “prontezza” della nave. Verso mezzogiorno l’ufficiale di guardia mi invita ad osservare con i binocoli sulla sinistra a meno di un paio di miglia: sì! C’è uno che nuota vistosamente, si ferma e sbraccia, poi riprende a nuotare. Ordino subito al timoniere: “barra a sinistra”; poco dopo al Terzo: “ferma la macchina”. Il 3° chiama il nostromo per approntare salvagente e biscaglina. Mi avvio in coperta proprio mentre stava salendo a bordo un giovane aitante, 190 di centimetri e di muscoli, ma con la stanchezza ed i primi sintomi della disidratazione appiccicate negli occhi e sul viso. Con un filo di voce si limita a domandare “dove ziete direti ? “ Gli rispondo: “a Trieste”. Allora si avvicina, mi abbraccia e mi accorgo che comincia a singhiozzare! Dall’accento e dalla pronuncia di quelle sue poche parole intuisco che sia un istriano-dalmata. Aveva addosso qualche indumento. “Andiamo; ti risolleverai, e poi ci scambieremo qualche “ciacola”.
Comandi!
Fulvio (questo è il suo nome) mi racconta:
Sono partito due sere fa, con due amici, da Cherso a bordo della mia motobarca da pesca, apparentemente per pescare, ma con la ferma intenzione di fuggire per sbarcare in Italia. Procedemmo subito verso S-SE per eludere meglio (così credevamo ) la sorveglianza delle motovedette militari jugoslave. Poi accostammo a dritta e prendemmo il largo puntando decisamente verso la costa a nord di Ancona. Quando già pensavamo di avercela fatta (stimavamo di essere ben fuori delle acque territoriali jugoslave), vedemmo avvicinarsi da poppa la sagoma di una motovedetta. Al sopraggiungere ci fu intimato l’alt e puntato il proiettore della luce, l’aldis. Scattò allora lo stratagemma preparato: accesi una piccola torcia e rallentai fin quasi a fermarmi; così operando mi sottrassi per qualche istante alla luce del proiettore e ciò consentì ai due compagni, a prua, di scivolare in mare, silenziosamente; lasciai alla barra del timone un manichino seduto; barra al centro; presi la cima e scivolai anch’io in acqua; spinsi la poppa per far accostare un po’ l’imbarcazione e tirai la cima agganciata ai comandi del motore per lanciarlo a tutto gas. La reazione della motovedetta fu una sventagliata di mitra e l’inseguimento della barca. Intanto, però, mi ero allontanato dai miei amici, che non ho più visto e sentito. A questo punto mi alzo e chiamo il Terzo per ordinargli di perlustrare la zona per due ore e di rinforzare il servizio di vedetta; di scrivere tutto l’evento sul ”brogliaccio” di navigazione, per le successive trascrizioni sul Giornale Nautico. Trascorsi la giornata con la speranza di essere avvistato. Vedevo di tanto in tanto qualche nave transitare, ma erano lontane. Sopraggiunse la seconda notte, lunga, interminabile. All’alba del nuovo giorno si riaccese la speranza: sempre l’ultima a morire. Fulvio si avvicina ai suoi stracci, ancora bagnati. Il giubbotto, all’interno, è gonfio di sugheri; in un taschino ha una borraccia sagomata, per l’acqua; dall’altro taschino tira fuori un pacchettino avvolto in due o tre fogli di nailon incollati, ed estrae una carta piegata, ancora asciutta, che dispiega e me la porge: è il suo certificato di diploma, anno 1943, conseguito nel Regio Istituto T. Nautico Statale “Nazario Sauro di Lussinpiccolo. “Ma allora siamo colleghi!”
È proprio quello a cui aspiro: navigare; navigare necesse est,come dicevano i latini. Se non comincio ora, che ho già 31 anni, non ce la farò più; ed il merito sarà suo, sior comandante. Ti ho raccolto (e possiamo darci del tu, siamo quasi coetanei) per dovere morale di ogni uomo, oltre che di navigante: ce lo ricorda un articolo del codice della navigazione. Art. 490, comma 2
Ti ricordi anche il numero dell’articolo, bravo!
Mi fai venire in mente che quando ero a scuola, il professore di Diritto mi rifilò sulla pagella l’unica insufficienza perché non gli seppi recitare tutto questo articolo a memoria! Quando si dice: i casi della vita…  
Passarono undici anni da quel salvataggio allorché si ripresentò l’occasione di tornare a Trieste con la nave. Ero attraccato da circa un’ora quando mi vidi recapitare un invito a cena al salone-birreria Dreher; invito esteso al Primo (l’ex Terzo) ed a chiunque altro di mio gradimento. Telefonai alla Dreher per avere conferma; poi chiamai mia moglie e mio figlio, che erano a Venezia. Appena entrammo nel grande salone, l’orchestra intonò
Va pensiero, sull’ali dorate
e mi venne incontro Fulvio. Non fui sorpreso. Ci riabbracciamo con reciproca, intensa commozione.
Una serata indimenticabile, tra fiumi di birra e vino, e frutti di mare. Migliore atmosfera non era immaginabile: il caso volle che in sala ci fossero numerose famiglie di emigrati giuliani, rientranti dall’Australia dopo tanti anni, con i quali fraternizzammo. Nel mezzo della serata il comandante Fulvio prende il microfono e mi presenta a tutto il pubblico narrando quel drammatico episodio che diede la svolta alla sua vita. Porge omaggi ai miei, al Primo una medaglia d’oro personalizzata, a me una stupenda targa decorata con il campanile di San Marco ed il leone col libro aperto: inciso in caratteri d’oro, tutto il 2° comma dell’articolo 490:“È del pari obbligatorio, negli stessi limiti, il tentativo di salvare persone che siano in mare o in acque interne in pericolo di perdersi”.In un angolo, ancora un’incisione, piccola, voto: 5. Sorrisi ed applausi.
“Fulvio, ed i tuoi compagni? ”
Ah, sì, Sergio; Ivo fu raccolto da una nave dell’Adriatica; naviga. Edgar fu riacciuffato dalla motovedetta…

Ritrovamento dell’atleta di Lisippo

Posted on : 02-08-2012 | By : admin | In : Diritto

0

Una battaglia tra le norme del Diritto della navigazione, Diritto consuetudinario e clandestinità.

All’aurora di una giornata estiva del 1964 il peschereccio F. Ferri, al comando di R. Piraini con altri sei uomini di equipaggio, effettua un recupero in Alto Mare, a 43 miglia dalla costa di Fano (Pesaro) ed a 27 miglia dalla costa iugoslava (Croazia), alla profondità di 75 metri (Scogli di Pedaso), viene riportata alla luce una statua di grande valore: l’Atleta di Lisippo dell’Antica Grecia. Una scultura in rame, stagno e bronzo del periodo ellenistico (IV secolo avanti Cristo). Si suppone che la nave greca fosse diretta verso Ancona; dopo il naufragio si sia inabissata con la scultura (alta 1,52 metri dai polpacci in su).

La statua, ribattezzata come “Atleta di Fano”, prima fu depositata nel sottoscala della proprietaria della barca e poi per sviare la curiosità delle molte persone, fu interrata in un campo di cavoli. Da qui, in breve tempo, la statua finì nelle mani di un acquirente, un antiquario che l’acquistò per 3,5 milioni di lire di quel tempo. Seguì una denuncia alla Magistratura da parte dell’Autorità marittima e della Finanza, con l’accusa a carico dell’antiquario di aver acquistato e occultato un’antica opera d’arte, in danno dello Stato. L’antiquario ed i suoi complici furono assolti dal Giudice di I° grado, dichiarati colpevoli da quelli della Corte d’Appello di Pesaro, rinviati al giudizio della Corte di Cassazione di Roma: riconosciuti definitivamente innocenti. Intanto l’Atleta “prese il volo” e approdò al Getty Museum USA.

La scultura bronzea di Lisippo è ora rivendicata dal nostro Ministero dei Beni culturali. Ma gli avvocati del Getty Museum ritengono infondato l’attuale reclamo dal momento che lo Stato italiano, negli anni del processo, non si costituì parte civile. Il Ministero dei B.C. ribatte che l’uscita del reperto dall’Italia in maniera clandestina è prova d’illegalità da parte del museo americano. Gli avvocati USA replicano che non c’è prova di violazione delle norme che regolano l’esportazione e che in Italia non c’è mai stata una condanna da parte della Magistratura di esportazione illegale di reperti archeologici: condizione essenziale richiesta dal Diritto consuetudinario per ottenere la restituzione. Il Ministero ricorda che il Diritto della navigazione considera la nave, in Alto Mare battente bandiera italiana, un pezzo di suolo italiano, e come tale deve essere considerato anche il reperto archeologico recuperato (“l’Atleta di Fano”) nei fondali di acque internazionali.

C’è un altro dato importante a favore della tesi italiana: l’Atleta non ha i piedi, probabilmente staccatisi nel momento in cui la statua fu salpata. L’assessore provinciale di Pesaro ha un’idea: la Marina militare italiana collabori con quella croata (la Croazia rivendica qualcosa perché il ritrovamento è avvenuto in acque della sua zona economica esclusiva –v. par. 4 Cap. I – zona però che al momento del ritrovamento non era ancora costituita). La collaborazione sarebbe mirata al fine di recuperare i piedi. A recupero avvenuto il Ministero avrebbe la carta vincente per riavere l’opera d’arte: l’Unesco riconoscerebbe l’Atleta di Lisippo come patrimonio dell’Umanità da conservare, nella sua interezza, nel Paese di provenienza (Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del mare).

Sintesi dell’articolo di Neste Morosini sul Corriere della Sera del 10 – 7 –2007. Da Internet (Wikipedia) traiamo (Maggio 2009): la contesa Italia-Museum non è ancora conclusa. Nella Procura della Repubblica di Pesaro è ancora in corso il procedimento giudiziario. La Procura ha chiesto la confisca della statua per i reati di contrabbando e di esportazione clandestina.

Environmental Officer

Posted on : 14-04-2010 | By : admin | In : Diritto

2

L’ufficiale addetto alla protezione ambientale.

   In questi ultimi quindici  anni il numero di passeggeri sulle navi da crociera è triplicato; una crescita che interessa tutti i settori collegati all’industria turistica. Ciò provoca, tra le altre cose, impatti sul piano economico, sociale ed ambientale. Su quest’ultimo argomento desidero esprimere le mie conoscenze maturate attraverso l’esperienza di bordo.

   Gli impatti possono essere individuati in un inquinamento atmosferico e marino causato dalla nave, ed in un inquinamento causato dai passeggeri stessi: rifiuti a bordo, acque reflue, l’impatto sull’ambiente oggetto di visite durante gli scali.

L’industria crocieristica ha incominciato ad integrare, nelle proprie attività, le pratiche di gestione ambientale sostenibile.

Dal 2001 la ICCL International Council of cruise lines (che nel 2006 si è fusa con la CLIA, Ia Cruise line international association) rappresenta 25 gruppi crocieristici mondiali. La ICCL ha annunciato di aver stabilito standard ambientali obbligatori per le navi delle compagnie che fanno parte della  associazione.