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Navigare negli stretti dei Dardanelli e nel Bosforo

Posted on : 18-10-2020 | By : Luigi | In : Tradizionale

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Navigare negli stretti dei Dardanelli e nel Bosforo

a cura del Comandante Antonio Cherchi

A differenza del Canale di Suez, di Corinto e di Panama, dove l’ingegno dell’uomo ha creato importanti vie di comunicazioni tra un mare e l’altro, tra un oceano e l’altro, i Dardanelli e il Bosforo sono nati quando è nata la Terra che nei suoi movimenti tellurici primordiali ha assunto la forma e le caratteristiche, tra mari e terraferma, che oggi conosciamo.

La natura ha creato questi due stretti dividendo due continenti: Europa ed Asia; lasciando all’uomo la possibilità di unirsi, nel bene e nel male.

Secondo il mito, eroi greci guidati da Giasone, partirono con la nave Argo, la prima mai costruita, alla conquista del vello d’oro nella Colchide. La leggenda ispirò Omero, Eschilo ecc. In effetti quella ex provincia romana (il Ponto) bagnata dal Mar Nero, a Sud del Caucaso, è una zona ricca di miniere di oro e di ferro.

Molta storia è stata consumata tra queste due rive, tra popoli di diverse etnie culturali e religiose; avvenimenti di guerra per la conquista del passaggio tra un continente e l’altro e tra un mare e l’altro.

Ed ancor oggi, più che nel passato, questi due stretti con le loro sponde ricche di storia, vengono utilizzati commercialmente per unire due mari: Mar Egeo e Mar Nero. Molte sono le navi in transito: petroliere, da carico, passeggeri, molte dirette a Istanbul. Gli stretti sono sotto sovranità turca.

Lo Stretto dei Dardanelli ha una lunghezza di 71 Km ed una larghezza che va da 1 a 10 Km, per una profondità massima di 90 metri; unisce via acqua il Mar Egeo ed il Mar di Marmara.

Dall’Egeo, in avvicinamento all’entrata, le navi contattano via radio VHF la stazione Piloti di Seddilbahir e l’Harbour Master di Canakkale. Il pilotaggio per il transito è obbligatorio per navi con T.S.L. superiore a 500 tonnellate. Durante la traversata le macchine devono essere sempre pronte alla manovra per motivi di sicurezza.

Il pilota imbarca al traverso del complesso di Seddilbahir di fronte alla baia di Anit. Particolare attenzione dovrà tenersi alla forte corrente contraria, caratteristica principale sia dei Dardanelli che del Bosforo, che può raggiungere 2 ÷ 4 nodi o più, ed al traffico di navi in uscita.

Si procede verso la baia di Canakkale, sempre in contatto radio, dove in prossimità, si riduce la velocità in attesa della pratica sanitaria e doganale.

Mentre la nave procede a lento moto, la lancia, con le autorità preposte a bordo, affianca la nave. Un ufficiale di bordo, con i certificati della nave richiesti, a mezzo biscaglina scende sulla lancia. All’ufficiale, dopo il controllo, viene rilasciato un certificato di pratica sanitaria che dovrà essere conservato tra le carte di bordo sino al ritorno della nave verso il Mar Egeo.

Assolte queste formalità (il tempo occorrente si aggira in media intorno a 10-15 minuti) viene ripresa la navigazione regolare con velocità adeguata alla corrente ed al traffico di navi e di natanti. All’altezza di Gelibolu (Gallipoli) sbarca il Pilota. La navigazione prosegue nel Mar di Marmara. Alla macchina viene segnalato «fine attenzione in macchina». Controlli e posizionamento nave sono continui a causa della corrente, particolarmente forte all’altezza dell’isola di Marmara.

Con l’avvicinamento al Bosforo è visibile a distanza il complesso del Serraglio (antica dimora dei Sultani) e la chiesa di Santa Sofia con la sua cupola ricoperta di lastre di rame.

Il Bosforo ha una lunghezza di 32 Km, larghezza media 1500 metri, profondità massima m 105. Conosciuto anche con il nome di “Corno d’oro”, lo stretto collega il Mar di Marmara al Mar Nero.

La navigazione è ostacolata da una forte corrente superficiale formata dalle acque più dolci del Mar Nero che scorrono verso il Mar di Marmara, Dardanelli sino all’Egeo. Una controcorrente di acque salate, in profondità, si dirige verso il Mar Nero. Incassata tra rive pittoresche coperte di rigogliosa vegetazione si affaccia, sulla costa Europea, la città di Istanbul (antica Costantinopoli) ed i suoi quartieri periferici.

Per l’entrata ed il transito del Bosforo si contatta in VHF la stazione Piloti. Nell’eventualità di dover effettuare operazioni di bunkeraggio si ancora a circa ½ miglio ad W-NW della secca Serraglio. Il Pilota per il transito imbarca in prossimità della diga esterna del porto di Scutari (di fronte ad Istanbul, costa asiatica).

L’attraversamento del Bosforo è una magnifica esperienza per l’attrattiva delle sue coste, i suoi caseggiati in prossimità delle rive, le sue chiese, minareti e pagode e per gli innumerevoli natanti che intrecciano le due sponde trasportando passeggeri e merci come se l’Europa e l’Asia di comune accordo avessero deciso di porgersi le mani malgrado tutte le difficoltà politiche ed economiche.

Ma, per il navigante non è facile godere questo magnifico scenario perché non deve allontanare lo sguardo dal transito in quanto primaria deve essere l’attenzione sul percorso da seguire, alla sempre corrente contraria ed al continuo movimento dei natanti e delle navi più lente che talvolta obbligano la nave alla manovra.

Dopo Buyukedere si dirige verso l’uscita dal Bosforo. All’altezza del forte di Poyraz si manovra e si rallenta. Il pilota sbarca. La nave prosegue con l’uscita definitiva dallo stretto. Al traverso di C. Rumili la nave è in Mar Nero per raggiungere uno dei numerosi porti delle sue coste.

 

Dal Mar Nero per l’Egeo di norma si dirige su C. Rumili. Dopo aver contattato via radio VHF la stazione piloti ed ottenuto il permesso si entra tenendosi sulla dritta lungo la linea di separazione del traffico riportata sulla carta nautica. La stazione piloti può richiedere di attendere; in tal caso sarà necessario penzolare fuori a E-NE di Capo Rumili.

Il pilota imbarca di fronte a Poyraz verso il versante costa Europea. Particolare attenzione, verso Sud Ovest, alla corrente che, se “in salita” era contraria, ora “in discesa” è favorevole e la nave può acquisire velocità maggiore, da 2 a 4 nodi (talvolta 5) più del normale.

In prossimità della baia di Buyukedere si procede a lento moto per la pratica sanitaria e doganale con lancia sottobordo con le stesse modalità della pratica all’entrata a Canakkale. Viene richiesto e consegnato il permesso di Sanità rilasciato a Canakkale. Attenzione va posta alla controcorrente di sponda che va in senso opposto alla corrente generale dello Stretto.

Svolte dette formalità, la nave prosegue verso l’uscita del Bosforo dove presso Capo Serraglio (Istanbul) sbarca il pilota. Segue la navigazione nel Mar di Marmara sino a Gallipoli (Gelibolu) località d’imbarco del Pilota per il transito e l’uscita dai Dardanelli. A Capo Mechemcht sbarca il pilota e la nave entra in Egeo.

Pianificazione del viaggio transoceanico

Posted on : 18-10-2020 | By : Luigi | In : Letture Moderna

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 Pianificazione del viaggio transoceanico

a cura del Comandante Renato Prolovich

Le conoscenze tecniche necessarie per comandare oggi una nave oceanica nell’epoca dell’elettronica e della tecnologia semplificante possono sembrare, particolarmente ai giovani Ufficiali meglio preparati nelle nuove tecniche, facilmente e rapidamente acquisibili.

In realtà per essere sicura guida di una nave sugli oceani, oggi come ieri, c’è bisogno di una grande quantità e varietà di conoscenze che si vanno certo e rapidamente modificando nelle tecniche, ma sono sempre legate dal filo dell’esperienza e della prudenza.

Per affrontare un viaggio transoceanico con sicurezza ed efficienza, quindi anche con i migliori risultati economici – che sono poi in genere il metro di valutazione dei Capitani da parte delle Compagnie – bisogna considerare at­tentamente molte cose, di cui le principali sono le seguenti:

1)      le caratteristiche della nave;

2)      le sue condizioni;

3)      il livello delle sue dotazioni strumentali;

4)      la perizia tecnica di Ufficiali ed Equipaggio;

5)      la fiducia reciproca che deve esistere fra Comandante ed Ufficiali, particolarmente il Primo Ufficiale ed il Direttore di Macchina, ovvero fra il responsabile degli ordini e chi ne rende in pratica possibile l’esecuzione;

6)      il livello di familiarità con le zone di mare da attraversare o la assenza di precedenti esperienze specifiche di Comandante ed Ufficiali;

7)      la stagione dell’anno e la climatologia generale probabile nel corso del viaggio.

Per spiegare meglio i punti precedenti è utile ricorrere ad un esempio. Supponiamo dunque che ad un esperto Capitano, al comando di una medio-piccola portacontenitori normalmente adibita al trasbordo fra i porti del Mediterraneo (feeder service), venga ordinato di partire da Genova per Halifax, Nuova Scozia, con un carico completo di contenitori per iniziare laggiù il medesimo servizio feeder con il porto di Boston.

Supponiamo che la stagione sia il mese di marzo, uno dei peggiori dal punto di vista meteorologico in Nord Atlantico.

Il Capitano ovviamente conosce bene la sua nave, ne sa anche i difetti ed è al corrente delle sue condizioni, particolarmente per quanto riguarda l’appa­rato motore, l’integrità dello scafo, la completezza delle dotazioni di sicurezza e delle attrezzature di navigazione e di telecomunicazioni.

Supponiamo che la nave, pur essendo di stazza ridotta e impiegata da anni esclusivamente in Mediterraneo, sia in buone condizioni generali e fornita delle prescritte dotazioni di sicurezza per la navigazione oceanica.

Questa ultima condizione viene data per scontata nell’esempio, anche se purtroppo troppo spesso accade il contrario; però la discussione di questo punto ci porterebbe troppo lontano dagli scopi di questa breve nota.

La nostra nave ha dunque le carte in regola. Unico problema, l’equipaggio abituato da anni al Mediterraneo, ed in qualche caso del tutto estraneo all’Oceano.

Poiché la navigazione in tardo inverno su una delle più delicate fra le grandi rotte commerciali del globo è cosa radicalmente diversa dalla prece­dente attività mediterranea della nave, sarà importante che ogni uomo a bordo sia posto al corrente, per quanto di sua competenza, della maggior cura dei particolari che è richiesta a tutti navigando su rotte impegnative.

Come aneddoto tratto dall’esperienza personale di chi scrive, dirò che sui grandi transatlantici della Linea del Nord America, dove gli equipaggi erano consci della furia dei cattivi tempi di quella rotta, raramente si avevano gravi inconvenienti dovuti a trascuratezze, anche nelle più critiche condizioni.

Sui transatlantici diretti in Argentina, invece, su di una rotta dove il cattivo tempo è una rarità, quasi ogni seria burrasca che si incontrasse nottetempo causava per esempio incredibili guai nei saloni, nelle cucine e nelle sale ristorante, con ecatombe di stoviglie. Semplicemente succedeva che il personale, più frequentemente quello Alberghiero ma non solo esso, dimenticava facil­mente, dopo settimane di bel tempo, di cautelarsi contro gli improvvisi scherzi del mare.

Questo credo illustri bene quanto sia importante che un Capitano sappia informare il suo equipaggio, specialmente quando si possono prevedere grandi cambiamenti rispetto alla “routine”, dei nuovi aspetti della situazione.

Bisogna soprattutto saper rivolgersi a tutti, perché su di una nave anche il gatto ha un ruolo, e potrebbe essere cruciale in particolari situazioni, anche il suo ruolo di gatto.

Tornando al nostro caso, sarà specialmente necessaria una riunione di Stato Maggiore, nel corso della quale il Capitano informerà delle caratteristi­che del viaggio e sarà informato dai vari Capi Servizio su eventuali problemi tecnici da risolvere prima della partenza, con i mezzi di bordo o ricorrendo all’Ufficio Tecnico della Compagnia.

Potranno sorgere ad esempio problemi di combustibile, data la novità della lunghezza del viaggio, dell’ordine delle 4 mila miglia contro le poche centinaia delle traversate precedenti.

Potrà essere necessario, a questo riguardo, il ricorso a depositi di bunker raramente o quasi mai utilizzati, che potrebbero avere ad esempio problemi di riscaldamento o di tenuta di valvole.

Dovranno farsi accurate simulazioni delle condizioni di stabilità all’arrivo, tenendo conto dei consumi anche avendo presente la possibilità di tempo particolarmente avverso. Su questa rotta infatti una nave medio piccola di scarsa potenza può incontrare condizioni che allunghino la durata dei viaggio anche del 25%.

Nel calcolo della stabilità dovrà tenersi conto della possibilità di incontrare condizioni di forte freddo con rischio di ghiaccio e neve sulle sovrastrutture. Su una copertata di contenitori di una nave lunga circa 150 metri possono in­fatti depositarsi in una notte anche 2-300 tonnellate di ghiaccio ad un’altezza di oltre 10 metri dal piano coperta! Il personale responsabile dovrà essere al corrente che passando dalla Corrente del Golfo alle acque costiere Nord Americane, in inverno, si possono avere cadute di temperature tali da passare da clima temperato a condizioni artiche in poche ore e delle conseguenze po­tenziali di questo fatto su molte apparecchiatura di bordo.

In corso di viaggio, avvicinando la zona fredda, si seguiranno le previsioni meteo in particolare anche per questo rischio, in modo da essere all’occorren­za pronti all’intercettazione dei tubi di acqua dolce in coperta e al riscaldamen­to di ogni macchinario o deposito che abbia tale esigenza.

Occorrerà essere anche certi del funzionamento del riscaldamento dei cri­stalli di plancia, perché una ghiacciata improvvisa potrebbe rendere impossibi­le la vista dall’interno del ponte di Comando.

Sarà necessario informarsi dettagliatamente sulle disposizioni e obblighi imposti alle navi dalle leggi del porto di destino, non essendo questo uno scalo abituale.

Al riguardo sarà opportuno informarsi presso gli agenti locali, prima di iniziare il viaggio.

La massima cura sarà pure riservata al controllo ed eventuale rinnovo della cartografia e delle pubblicazioni nautiche riguardanti la rotta da seguire. La cartografia deve essere completa delle carte particolari delle zone più impor­tanti e di quelle di atterraggio.

Prima della partenza si dovrà leggere almeno a grandi linee un buon porto­lano della zona di arrivo, aggiornato all’ultimo avviso, per avere chiare le principali disposizioni per l’atterraggio, la disposizione delle “landing lanes”, i mezzi di comunicazione con i Piloti (oggi sempre più via Telex o Fax), i ca­nali VHF e gli obblighi di comunicazione preventiva con i servizi guardacoste ed ogni altra informazione e prescrizione, ad esempio di carattere nautico e militare, che se non conosciute o apprese troppo tardi potrebbero causare se non gravissimi pericoli certamente disguidi e ritardi anche pesanti all’arrivo.

Nel corso del viaggio ci sarà poi tempo di leggere tutte le informazioni meno urgenti disponibili a bordo e studiarsi con cura le carte nautiche.

Estrema importanza, come è ovvio, è la certezza della buona efficienza degli strumenti e degli aiuti alla navigazione. In particolare dovranno funzio­nare perfettamente i due radar, il GPS, il ricevitore fax delle previsioni del tempo e quello degli avvisi ai naviganti. Ed in ultimo il buon vecchio sestante dovrà essere a bordo, assieme alle effemeridi nautiche dell’anno, ed essere soprattutto in buone condizioni.

Se la nave è dotata di moderno sistema di navigazione computerizzata su carte elettroniche, sarà molto importante che il Comandante personalmente prepari accuratamente il piano di viaggio, assieme all’Ufficiale incaricato, e non sarà prudente adoperare carte elettroniche fatte a mano da ignoti.

In caso di uso di carte riprodotte a bordo, queste saranno eseguite dal Comandante o da un Ufficiale di sua assoluta fiducia, ovvero saranno solo pro­dotti certificati di Enti responsabili che ne garantiscano la conformità all’origi­nale idrografia.

Particolare cura, prima della partenza per un viaggio così impegnativo, con una medio-piccola portacontenitori a pieno carico, sarà posta nel controllo della “rizzatura” del carico. Tutte le rizze in coperta dovranno essere control­late una per una, per verificarne il corretto montaggio e l’integrità.

L’importanza di questo controllo è grandissima in ogni circostanza, ma ovviamente è cruciale nel nostro esempio per quanto già detto, essendo la na­ve e il suo equipaggio alle prese con un cambio di rotte cosi radicale.

Una volta eseguito tutto quanto sopra ricordato, fatti i dovuti controlli e le eventuali necessarie riparazioni, imbarcati carico, rifornimenti e attrezzature necessarie, la nave potrà partire ed il Comandante avrà la consapevole professionale fiducia di poter compiere un viaggio in sicurezza, ossia per quanto possibile immune da pericoli la cui origine risalga a trascuratezze.

Per quanta riguarda invece le rotte da seguire, il Comandante avrà natu­ralmente tracciato una rotta di massima, sulla base delle sue precedenti espe­rienze dirette o, in mancanza di queste, delle notizie tratte dai portolani riguardanti le zone da attraversare.

Dai buoni portolani, attentamente consultati, potrà trarre molte delle infor­mazioni necessarie sulle zone da attraversare che non sarebbe possibile acquisire altrimenti: climatologia, correnti marine, caratteristiche prevalenti e percorsi medi di eventuali grandi perturbazioni a carattere stagionale come ad esempio gli uragani.

Sulla base di questi elementi di conoscenza traccerà la rotta di massima che naturalmente sarà in rapporto immediato e diretto con le dimensioni, le caratteristiche e le condizioni di carico della nave.

Valuterà l’opportunità di seguire rotte ortodromiche, lossodromiche o mi­ste, o rotte magari più lunghe ma più convenienti per effettive condizioni favo­revoli di elementi meteorologici e di corrente.

Fatto questo, il marinaio esperto avrà sempre presente il valore molto relativo della statistica climatologica: sarà quindi in ogni momento pronto a modi­ficare la sua rotta tenendosi costantemente al corrente delle condizioni effetti­ve prevedibili.

Poiché il tempo è rapidamente mutevole, altrettanto pronto a contromisure deve essere il buon Capitano e questo è oggi, nell’era dei satelliti meteo, age­volmente realizzabile.

A questo fine è indispensabile disporre a bordo di una ricevente fax simile meteo e consultare attentamente i programmi di trasmissione delle stazioni che coprono le zone del viaggio.

Per un viaggio sicuro e responsabilmente condotto, soprattutto nelle acque del Nord Atlantico in inverno, ma in genere ovunque, a mio avviso è indispensabile disporre giornalmente e studiare attentamente almeno le seguenti cartine:

a) una previsione settimanale per la grande pianificazione, aggiornata e trasmessa giornalmente o a giorni alterni dalle grandi stazioni meteo;

b) una previsione a tre giorni di superficie;

c) una previsione delle variazioni di pressione a 24 ore;

d) una previsione di superficie a 24 ore;

e) un paio di analisi in superficie al giorno;

f) una carta della situazione delle correnti, trasmessa due volte la settimana;

g) una previsione delle grandi correnti in altitudine.

 

In questo modo il Comandante, se dotato di adeguate conoscenze di meteorologia generale, sarà in grado di navigare sfruttando al meglio le circo­stanze, evitare per quanto possibile il tempo cattivo ed anzi sfruttare a suo vantaggio le condizioni atmosferiche per accelerare il viaggio e diminuire i costi.

La navigazione oceanica, oggi, ha certamente perduto le difficoltà legate alla determinazione del punto nave in situazioni sfavorevoli e quindi sembra diventata molto più facile e alla portata di tutti.

In realtà come sempre accade, superata una millenaria difficoltà, al Navi­gante sono state avanzate altre richieste, per soddisfare le quali le difficoltà si sono semplicemente ricreate in altri ambiti.

Oggi non ci si aspetta più che la nave parta e arrivi, a discrezione del Co­mandante, comunque purché arrivi. Occorre arrivare in orario, a volte con tolleranze di una o due ore su traversate anche di settimane, il tutto in maniera economica, ovvero con i consumi il più possibile ridotti.

È per questa ragione che, pur enormemente aiutato dalla tecnologia, essere oggi un buon Capitano è sempre difficile come prima, appassionante come prima, misconosciuto da tutti come prima, salvo che dai veri ed onesti mari­nai, che sanno quanto è sempre costato l’andar per mare.

Perché il mare è sempre là, sempre il medesimo, pronto a colpire chi lo prenda sottogamba, ma fonte di soddisfazioni personali gratificanti per tutti coloro che cercano di domarne i pericoli e capirne i segreti.

 

Se queste righe saranno riuscite a dare a qualche giovane il senso della se­rietà del lavoro del mare, attraverso la descrizione di uno dei suoi mille aspetti – la preparazione di un viaggio – avrò raggiunto il mio scopo. Il mare non è più, se mai lo è stato, il mitico luogo dell’avventura. È però sempre una palestra di vita e di forza con pochi uguali nelle altre professioni.

Buona fortuna ai giovani ancora capaci di sentirne l’attrazione e assecon­darla. Ne avranno in cambio molte occasioni per essere orgogliosi di se stessi.

 

 

Canale della Manica

Posted on : 18-10-2020 | By : Luigi | In : Racconti di Mare

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Il Canale della MANICA

 

a cura del Comandante Giovanni SANTORO

 

Ero giovane 3° Ufficiale quando, nel lontano 1958, con la carboniera “Teti” facevo i viaggi tra i porti atlantici degli Stati Uniti  e quelli del Nord Europa: Anversa, Rotterdam, Zeebrugge… Rimane indelebile il ricordo dell’impegno e della passione con cui attendevo al sevizio di guardia sul ponte di comando, nella zona più trafficata del mondo. Con l’esperienza di altri viaggi posso affermare che la Manica ed il Mare del Nord rappresentano per un giovane ufficiale una scuola per il servizio di guardia.

Prima che la nave entrasse nel Canale venivano consultate attentamente le tavole illustrate delle Brown’s Tidal Stream che, in funzione dell’ora dell’alta marea a Dover, indicavano l’andamento delle correnti di marea. Dalle batimetriche delle carte e da queste indicazioni di marea si stabilivano le rotte e si calcolavano le velocità effettive per determinare l’ETA da comunicare all’agenzia del porto di destinazione per la richiesta dei servizi all’autorità portuale.

Bishop Rock è il primo dei punti cospicui che incontravo prima che la nave entrasse nel Canale. Sulla sua imponente torre vi è il faro che, che con due flashes ogni 15 secondi, oltre a fornirci la possibilità di un punto di atterraggio, specialmente di notte, illumina le onde spumeggianti dell’Atlantico che vanno a rompersi incessantemente sulle rocce della minuscola isola. Dopo Bishop Rock, Cape Lizard, Start Point, Dungeness e lungo la costa francese il faro di Cap Gris Nez, a SW di Calais, e via via gli altri punti notevoli di costa che rilevavo dall’aletta di plancia con l’apparecchio azimutale per poi posizionare sulla carta il Pn sicuro con tre rilevamenti.

Lungo le due sponde, tra Dover e Calais, ci sono poco meno di 20 miglia. Nello Stretto di Dover c’è la massima concentrazione del traffico, in senso longitudinale con le navi in transito, in senso trasversale con i Ferry che traversano, per non parlare degli scafi veloci e del numeroso naviglio da pesca. Tra i compiti dell’Ufficiale di guardia la cinematica radar è importantissima: stabilire subito, con due battute in 3 minuti, il CPA delle navi che incrociano, specialmente quelle rilevate sulla dritta (se scadono di poppa, se guadagnano di prua, se il rilevamento rimane costante: rotta di abbordaggio), e rilevate nel settore prodiero, per distinguerle da quelle aventi rotte di controbordo (allora non c’erano le corsie di traffico) e da quelle, relativamente più lente, destinate ad essere sorpassate.

Il senso di responsabilità degli ufficiali era tale che, superato il traverso di Dungness, navigando quindi in questa zona d’intenso traffico, tutti si recavano sul ponte di comando e davano il loro contributo alla sicurezza della navigazione, particolarmente in tempo di nebbia (frequente durante i mesi primaverili, con l’anticiclone). La presenza del Comandante in plancia infondeva all’animo dell’Ufficiale di guardia un senso di sicurezza; ma non per questo ci si concedeva distrazione alcuna; in tutti era viva la responsabilità che un’errata valutazione di un radioeco sullo schermo radar poteva essere causa di sinistro irreparabile.

Una volta il Comandante (valente uomo di mare di Sestri Levante) mi confidò di preferire l’incontro di uno storm in Atlantico ad una giornata di nebbia nella Manica. Alla luce delle mie successive esperienze da Comandante concordo sulla fondatezza di quella osservazione.

Nel mese di febbraio 1959, a causa di un’alta pressione sull’Europa Centro-Settentrionale, la conseguente fitta nebbia con visibilità zero aveva costretto ben settanta unità navali a dar fondo le ancore davanti alle coste del continente europeo, a levante della Manica, perché impossibilitate ad entrare nei vari porti di destinazione del Nord Europa. La nostra nave doveva entrare nel porto olandese di Zeebrugge. Eravamo all’ancora, a 5 miglia dall’imboccatura, ed attendemmo ben sei giorni. Oggi un episodio del genere difficilmente si ripete; perché l’affidabilità dei sistemi radar di terra e di bordo é tale da garantire un’elevata sicurezza alla navigazione in acque ristrette. Erano pericolose ancora le navigazioni verso i porti tedeschi del Mare del Nord: Amburgo, Brema, Emden.

Lungo le cui rotte, allora, si nascondeva ancora l’insidia d’incontrare le mine della II guerra mondiale, ancorché le zone minate più pericolose fossero segnalate dalle Nemedri.

Un curioso episodio al termine di quella prolungata sosta all’ancora ha avuto come protagonista un pilota olandese. Egli aveva lasciato una nave sovietica all’ancora perché a bordo scarseggiavano i viveri (questo lo sapemmo dopo) e si diresse verso la nave italiana. Salì soltanto dopo aver avuto certezza che a bordo avrebbe potuto mangiare abbondantemente. La nostra nave, sempre sullo stand by, poté salpare per l’approdo dopo due giorni allorché si aprì uno squarcio nella nebbia.

Riferisco brevemente un altro episodio di bordo, verificatosi sempre in quelle acque. La carboniera, appena uscita dai lavori da uno dei cantieri navali di Anversa, era in attesa di entrare all’interno di una chiusa (la chiusa consente alle acque del porto di mantenere il medesimo livello in qualsiasi condizione di marea). Era il pomeriggio della vigilia di Natale: sarebbero state sufficienti soltanto poche ore di ritardo nell’ultimazione dei lavori da parte del cantiere, per poter trascorrere il Natale in porto anziché in navigazione! “l’è a partensa du camugin, u sabu a seia o a dumenega matin”; il dialetto ligure sul “Teti” prevaleva (“partenza affrettata per risparmiare spese portuali, ecc.”). Sbarcò il pilota d’ormeggio della chiusa ed imbarcò il pilota che doveva accompagnarci fino a Flushing. Dopo la chiusa la nave entrò in una canaletta. Lungo le sinuose anse del fiume Schelda la navigazione procedeva tranquillamente; in lontananza apparvero le luci di Gand; i belgi si preparavano alla Messa di mezzanotte. Il pilota al timoniere: “Zero la barre… babord… tribord…”

A mezzanotte, anziché sentire squillare la campana…natalizia, squillò il telefono del 3° Ufficiale di Macchina il quale mi avvisava che, appena fuori Flushing, sarebbe stato necessario fermare la nave in zona sicura della foce perché si sarebbe dovuto procedere ad un controllo: nelle casse di servizio del gasolio entrava acqua! Avvertito il Comandante, suonò poco dopo il posto di manovra per tutti ed in Macchina cominciò il lavoro alacre di ricerca del punto d’infiltrazione. Furono sollevati i paglioli, intercettate le valvole, smontati tubi ed aperti passi d’uomo, prosciugati locali … Alla fine un ingrassatore uscì da una cassa d’olio (dove era entrato senza la certezza del gas free!) con il volto imbrattato di morchia, ma con il sorriso sulle labbra: aveva individuato la via d’acqua: una fenditura verticale nella lamiera di divisione fra la cassa di gasolio e l’adiacente stiva N° 4 che aveva, come zavorra, quindici metri di battente d’acqua di mare.

Tornata la serenità a bordo, il pilota, prima ancora che l’ancora fosse salpata, era già sbarcato;  sul castello si provvide a rizzare la catena dell’ancora con bozze e gnarre. Stava per iniziare, nella Notte di Natale, un nuovo viaggio. Erano le 4 del mattino ed il Comandante ci riunì tutti (tranne le guardie) nella saletta ufficiali per lo scambio degli auguri natalizi; spumante nei calici e brindammo, col pensiero rivolto ai familiari lontani. Il mozzo, al suo primo imbarco, domandò al 1° Ufficiale se quella mattina di Natale poteva restare più a lungo in cuccetta. Glaciale e cruda fu la risposta del Primo: “oggi è Natale per i cristiani, non per i naviganti”. Quella risposta al mozzo mi ferì, come marittimo e come uomo, anche se conoscevo bene gli obblighi e i doveri di ciascun componente dell’equipaggio. Attesi le poche ore che rimanevano per salire sul ponte osservando distrattamente dall’oblò le luci dei battelli fanali: Wandelaar, West Hinder, Sandettié che sfilavano e, sullo sfondo, quelle delle cittadine costiere; mi riportavano sempre alle luci della mia città … e sognavo.

Ma tutti i sogni svaniscono all’alba: l’incipiente crepuscolo incominciava a rischiarare le bianche scogliere di Dover. Così cominciai la guardia alle 8, così iniziai a trascorrere il mio primo Natale a bordo, il primo di tanti altri …

Scrivo ciò con una punta di nostalgia. Rivivendo gli episodi descritti e pensando anche a tanti altri, avventurosi e non sempre tali, che inevitabilmente accompagnano la vita di un navigante, posso tuttavia affermare di non essermi mai pentito di quella scelta di vita fatta in gioventù: sono sempre appassionato della vita di uomo di mare, che vuol dire accettazione di rischio e sacrifici, dedizione per raggiungere e mantenere elevata professionalità, assunzione di responsabilità nel guidare una comunità viaggiante. Se un giovane sente tutto ciò ed è disponibile ad imparare dai superiori la tradizionale arte della navigazione, senza credere che schiacciando cinque o sei pomelli delle odierne plance ergonomiche sia in grado di condurre la nave, allora potrà diventare uomo di mare.

 

Canale di Suez

Posted on : 18-10-2020 | By : Luigi | In : Tradizionale

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CANALE DI SUEZ

 

a cura del Professore di Navigazione Bruno GAZZALE

Il canale di Suez ha una lunghezza navigabile di Km 193,25, dalla coppia di boe Hm. 195, a Port Said inizio braccio di levante, fino alla coppia di boe Hm. 80.50, a Suez. La larghezza varia da 300 a 350 metri, a livello zero metri. La larghezza fra le boe è 180 metri.  Il pescaggio massimo consentito è 16,2 metri. La massima larghezza delle navi in transito è di metri 64. La velocità media del convoglio varia tra 13 e 14 Km/h.  Il tempo medio di traversata è di 14/15 ore. La densità dell’acqua è 1,032 d’estate; 1,031 d’invernoSia a Port Said sia a Suez ci sono, per le navi, due aree di attesa (di ancoraggio).  L’area Nord di Port Said è per le VLCC, grandi portacontainer e navi di pescaggio superiore a 11,6 metri.  Queste navi entrano nel canale attraverso il braccio di Levante.  L’area Sud è riservata alle altre navi, che entrano nel canale attraverso il braccio di Ponente.

 

Formazione dei convogli.  Le navi viaggiano nel Canale in convoglio; distanza media tra le navi: circa 2 Km. Ogni giorno partono: due convogli da Port Said diretti a sud, uno da Suez diretto a nord.  Le navi dirette a nord iniziano a partire alle 5.30; le partenze si susseguono fino alle 11.00.

Il costo del servizio di pilotaggio nel Canale è incluso nel pedaggio (di cui si dirà più avanti).

Sono escluse le spese per il servizio pilota nei porti di Suez e Port Said ed eventuali servizi aggiuntivi.

Prima dell’apertura del Canale di Suez le navi che collegavano l’Europa e il Nord-America con le Indie, il Golfo Persico e l’Australia facevano la rotta del Capo di Buona Speranza (la punta più meridionale si chiama Capo Agulhas, ex Capo Tormentoso). Tutte le navi che possono transitare per il Canale, risparmiano molte miglia; alcune esempi: Dover – Singapore: 11719 miglia lungo la rotta del Capo; 8063 M transitando per il Canale di Suez. Dover – Calcutta: 11580; 7724. Dover – Bombay: 10638; 6095. Dover – Mauritius: 8318; 6786. Dover – Aden: 9940; 4443. Dover – Suez: 11313;  3136. New York – Singapore:12590; 10133. Genova – Singapore: 11647; 6462. Dover – pressi di Abadan (Golfo Persico): 11215 – 6352. Dover – Fremantie 11168; 9350. Dover – Sidney: 13308; 11344 M.

L’istmo di Suez è una lingua di terra bassa e sabbiosa collegante l’Africa nord-orientale e l’Asia Anteriore e separante, fin dal Pliocene inferiore, il Mar Mediterraneo dal Mar Rosso.  Il primo tentativo di aprire una via navigabile risale alla costruzione del canale detto “dei faraoni” fatto scavare, intorno al 600 a.C., dal Faraone Nechao II, unendo il Nilo, il lago Tamsahe ed il Mar Rosso.  Poco curato nei secoli, all’inizio dell’era volgare questo canale s’insabbiò definitivamente.

Nel 1845 l’ingegnere Luigi Negrelli mise a punto un progetto ritenuto soddisfacente dalla “Societè Etudes du Canal de Suez”. Alla morte di Negrelli (1848), la direzione passò a Ferdinand de Lesseps, già console francese ad Alessandria ed amico di Said Pascià. Il capitale iniziale della “Compagnia del Canale” fu 20 milioni di franchi; la concessione , di 99 anni, stabiliva che i frutti dell’investimento si sarebbero ripartiti nella misura del 75% alla Compagnia, 15% all’Egitto, 10% ai fondatori della Compagnia stessa.

I lavori iniziarono nell’aprile del 1859 con l’impiego di 20000 fellahin che prestavano la loro opera senza percepire salario.  Nel 1863, salito al potere Ismail Pascià, compiacente agli Inglesi, poco favorevoli ad una nuova via per le Indie, i lavori furono sospesi col pretesto dello sfruttamento illegale dei fellahin, condannati, in pratica, ai lavori forzati. Con l’impiego di poderose macchine e pagando la manodopera, i lavori ripresero nel 1866.  Il Canale fu inaugurato il 17 novembre 1869. Per l’occasione Giuseppe Verdi compose l’Aida che fu rappresentata, tuttavia, due anni dopo. In seguito ad una grave crisi economica egiziana, il Pascià vendette le sue azioni (176.602) alla Gran Bretagna che, da allora, divenuta la maggiore azionista della Compagnia, s’installò in Egitto; controllò il canale fino al 1956, quando fu nazionalizzato. A seguito di vari conflitti, intervento anglo-francese, guerre arabo-israeliane, il Canale venne chiuso nel giugno 1967. Il 5 giugno 1975, dopo lavori di sminamento e recupero di relitti affondati, il Presidente Sadat, a bordo di un cacciatorpediniere, riaprì la via alla navigazione internazionale.

Le navi dirette a Suez ed a Port Said e che intendono attraversare il canale devono inviare l’E.T.A. cinque giorni prima, due giorni prima e 24 ore prima dell’arrivo all’indirizzo: Sucanal Transit Suez. Nel primo messaggio verranno date tutte le informazioni riguardanti i dati tecnici della nave, il nome dell’Armatore, il tipo di carico, i porti di caricazione e scaricazione, la data dell’ultimo transito … Arrivando ad uno dei due terminali del canale si prenderà contatto con la stazione dei Piloti sul canale 16 o 12.

Il segnale di richiesta di Libera Pratica è: bandiera Z sopra la bandiera S, di giorno; luce rossa sopra luce bianca di notte. All’arrivo il comandante deve consegnare alle autorità portuali i documenti ed i libri ufficiali della nave, compreso il certificato di stazza del canale.

Le navi in convoglio sono divise in due gruppi: Gruppo A: comprende le grandi navi; la loro velocità è 14Km/h (7,56 nodi). Gruppo B: tutte le altre navi; mantengono una velocità media di 13Km/h (7.02Kn).

Il convoglio Suez – Port Said transita per il canale senza fermarsi, salvo i casi di emergenza, ai Laghi Amari. Esce da Port Said attraverso il braccio di Levante. Nel primo convoglio diretto a Sud, la prima nave parte alle 23.30 e le partenze proseguono fino alle 5.00. Le navi sono divise in due gruppi: Gruppo A: comprende le navi poste fra il Km 14 ed il Km 4 e nel porto di Port Said.  La prima nave parte non appena l’ultima, fra quelle dirette a Nord, entra nel braccio di Levante. Il Gruppo B comprende le navi ancorate nelle aree esterne e che entrano nel braccio di Levante non appena questo risulta libero dal convoglio in uscita; questo convoglio ha via libera fino ai Laghi Amari dove àncora nelle aree di attesa fino a che il convoglio diretto a Nord non abbia liberato la parte meridionale del Canale.  Il secondo convoglio diretto a Sud si forma in caso di traffico intenso.  La prima nave parte alle 6.00 e le partenze proseguono fino alle 8.00. Questo convoglio si deve fermare in El Ballah West Branch o proseguire solo quando l’ultima nave diretta a Nord libera il Km 60. Il numero di navi componenti il secondo convoglio è limitato dal numero di ormeggi disponibili in El Ballah West Branch: non sono ammesse navi con carichi pericolosi.

Uscita dal Canale. Le navi dirette a Nord giungono alle boe Hm. 195 di Port Said; sbarcato il Pilota, proseguono con rotta Nord per cinque miglia prima di dirigere per la propria destinazione.

Le navi dirette a Sud devono procedere nel Canale fino all’ultima coppia di boe Hm. 80.50, poi mantenere sulla sinistra la zona di separazione traffico fino alla boa n. l.  Per essere ammessa nel convoglio diretto a Nord una nave deve arrivare nella rada di Suez entro le 0000 se grande nave, entro le 0200 se nave di altro tipo. Al primo convoglio diretto a Sud sono ammesse le navi arrivate entro le ore 1800; al secondo convoglio le navi arrivate entro le 0200, rispettando le altre condizioni.  L’ultima nave del convoglio deve mostrare, per la durata della traversata, la bandiera “zeta” di giorno; durante la notte, invece, due luci in linea verticale: verde su bianca. Con la bandiera H s’indica la presenza del pilota a bordo; ma durante la traversata del porto di Suez e di quello di Port Said deve essere interpretata come richiesta di sbarcare il Pilota del Canale. Il servizio di pilotaggio è obbligatorio.  Le navi che sono in arrivo, che chiedono di partire, di cambiare ancoraggio, entrare nel Canale, richiedono il Pilota mostrando i seguenti segnali: di giorno un pallone nero sopra la bandiera G; di notte tre luci bianche in linea verticale.

Il servizio del Pilota inizia e cessa alle boe di entrata di Port Said e di Suez.

La manovra della nave e gli ordini restano sotto la direzione del Comandante per tutto il tempo della traversata. Il Pilota del Canale è cambiato alla stazione di Ismailia. Le navi in transito nel Canale possono richiedere la scorta di uno o due rimorchiatori; la scorta è obbligatoria se la nave è carica con DW da 100.000 a 150.000 tons, oppure in zavorra con DW. superiore a 150.000 tons. Le navi scortate

devono preparare due cavi di polypropilene da 16″ di circonferenza sistemati sulla poppa, muniti di gassa terminale, mantenuti a due metri dall’acqua.

Le navi di tonnellaggio superiore a 300 SCGRT pagano un pedaggio. Le navi in transito devono avere, pronti all’uso, sei cavi per ormeggio, di misura adeguata alle dimensioni della nave. Le navi devono essere dotate di un proiettore sistemato a prua, nel piano diametrale, brandeggiabile sia nel piano orizzontale che verticale ed in grado di illuminare il canale per 1800 metri davanti alla prua. Il fumaiolo della nave deve essere illuminato per consentire una facile identificazione della nave.

Le ancore devono essere pronte all’uso. Sul ponte di comando e in sala macchine deve essere mantenuto aggiornato un registro: «bellbook» dove sono annotati gli ordini alla motrice ed ogni altro ordine importante, documentante l’esito della traversata. A Port Said ed a Suez salgono, col Pilota, sei ormeggiatori e due elettricisti.

La stazza sulla quale sono calcolati i pedaggi, tasse e i vari servizi offerti e relativi al transito nel Canale, è determinata secondo quanto stabilito dalle Regole di Costantinopoli redatte nel 1873; essa deve risultare da apposito Certificato rilasciato dalle competenti Autorità di Classificazione riconosciute dalla S.C.A. (Suez Canal Authority).  Le tariffe sono determinate nel seguente modo:

-per le prime 5000 tons. un importo per ogni tonnellata;

-per le successive 20.000 tons. un importo per ogni tonnellata da sommare al punto 1;

-per le successive tons un importo per ogni tonnellata da sommare ai punti 1 e 2. Le tariffe si differenziano secondo quattro tipi di navi e a seconda se cariche o scariche: navi cisterna; navi bulkcarriers, O.B.0., ogni altro tipo di nave non incluso nelle prime tre classi.

Il costo del pedaggio è calcolato sulla base del S.D.R. (Special Drawing Rights) applicando la seguente, relazione: Importo (Tolls)= S.C.N.T. x S.D.R. x fattore correttivo di S.D.R. (S.C.N.T. = Suez Canal Net Tonnage). Il fattore correttivo di S.D.R. è calcolato sul valore di un «paniere» composto da 14 monete forti: ogni giorno il Fondo Monetario Internazionale ne determina il valore in ciascuna delle monete forti.

Canale di Panama

Posted on : 18-10-2020 | By : Luigi | In : Tradizionale

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CANALE DI PANAMA

 

a cura del Comandante Capitano Superiore di Lungo Corso Giuseppe QUARTINI

Primo transito ufficiale nel Canale: 15 agosto 1904 lo S. S. “ANCON” da Colon, rada di Cristobal in Atlantico, a Balboa – Panama, nell’oceano Pacifico. Il canale è lungo ~ 45 miglia; è largo (escludendo le chiuse) tra 91 e 300 metri. Con le chiuse la nave sale fino a ad un dislivello di 85 piedi ( m 25,91) rispetto al livello medio del mare.

Possono passare nave larghe fino a 33,5 metri (massima larghezza delle chiuse); il pescaggio è  41 piedi (m 12,50).

La traversata del Canale richiede mediamente 8 ore. Dopo la seconda guerra mondiale il traffico attraverso il Canale ha raggiunto il numero di oltre 17.000 navi all’anno, prossimo al limite di capacità del Canale. Tuttavia, abbandonati i progetti per la costruzione di un nuovo canale, sono stati fatti studi per permettere il transito ad un numero maggiore di navi. Il passaggio attraverso il Canale permette un notevole risparmio di cammino per le navi che devono passare da un oceano all’altro ed evita anche i mari tempestosi della punta meridionale dell’America del Sud.  Le distanze che si risparmiano sono: New York – San Francisco 7873 miglia; Liverpool – San Francisco 5666 miglia; San Francisco – Pernambuco 3002; New York – Callao 6520; New York – Yokoama 3357; New York – Sidney 3615.

 

Nel 1502, durante il suo quarto e ultimo viaggio di esplorazione lungo la costa atlantica del centro America, Cristoforo Colombo entrò nella Baia Limon ove oggi si trovano le città di Cristobal e Colon, cercando un passaggio che gli permettesse di continuare, il suo viaggio verso Ovest.  Nel 1513 Vasco Nunez da Balboa, attraversato il Darien vide, primo europeo, l’Oceano Pacifico. Nel 1524 l’imperatore di Spagna, Carlo V, ordinò la prima perizia per la costruzione di un canale attraverso l’istmo di Panama; dovevano trascorrere circa 400 anni prima che questo sogno potesse essere realizzato. Durante questo tempo vennero fatti molti studi e progetti, ma non trovarono alcuna realizzazione. Gli Stati Uniti furono sempre interessati a tali progetti. Il loro interesse aumentò grandemente dopo la vittoriosa guerra contro il Messico nel 1848 che portò i confini sulle coste del Pacifico e dopo la scoperta dell’oro in California che mosse una gran folla di uomini e materiali verso quelle terre.  In mancanza di una ferrovia che unisse la costa orientale degli Stati Uniti con la costa occidentale fu necessario sobbarcarsi i disagi di lunghe traversate sia per mare che per terra.  Fu così che gli Stati Uniti nel 1880 costruirono la ferrovia attraverso l’istmo, da Colon a Panama, completata nel 1885 e che divenne la ferrovia con maggior traffico al mondo.

Il primo sforzo per costruire il canale incominciò nel 1880, quando il progetto venne inaugurato dalla Compagnia francese del canale di Panama sotto la guida del conte Ferdinando de Lesseps, che aveva già costruito il canale di Suez.  Il progetto prevedeva la costruzione del canale “a livello del mare”, come era stato fatto a Suez, ma ostacoli naturali, macchinari inadeguati, difficoltà finanziarie e miserevoli condizioni sanitarie, che causarono la morte di migliaia di lavoratori, portarono, nel 1889, al fallimento della Compagnia. Una nuova Compagnia fu creata nel 1894 e continuò il lavoro, su scala ridotta, fino al 1904. Nel 1903 gli Stati Uniti firmarono un trattato col governo della nuova Repubblica di Panama che aveva dichiarato la propria indipendenza dalla Colombia.  Nel 1904 gli Stati Uniti comperarono i diritti e le proprietà della Compagnia Francese pagando la somma di 40 milioni di dollari, e una somma di 10 milioni di dollari in contanti al governo panamense ed un pagamento annuale di una somma che è progressivamente aumentata nel tempo.  Il lavoro di costruire il canale implicava la soluzione di tre principali problemi: ingegneria, sanità, organizzazione. La riuscita del progetto fu dovuta principalmente al genio ingegneristico ed alla abilità amministrativa di uomini come John F. Wallace, John F. Stevens, Theodore P. Shouts, colonnello George Goethals, colonnello D. Gaillard, e alla soluzione del monumentale problema della sanità pubblica grazie al colonnello Gorgas e i suoi assistenti. I problemi d’ingegneria comprendevano lo scavo di un canale attraverso una catena di montagne, largo e profondo abbastanza per consentire il passaggio delle navi più grandi; costruire la più grande diga in terra che fosse mai stata costruita; disegnare, e costruire le chiuse più massicce mai immaginate, costruire per le stesse le porte più grandi che mai fossero state messe in opera; inventare macchinari e dispositivi elettrici e vincere enormi frane. L’area nella quale si trova il canale era un tempo uno dei luoghi più perniciosi del mondo. Sotto la guida del colonnello William Crawford.   Gorgas e gli esperti medici dimostrarono che la febbre gialla poteva essere sradicata e che flagelli come la malaria e la dissenteria potevano essere controllati, ma è stato calcolato che circa 500 uomini sono morti per ognuna delle 50 miglia del Canale, di cui i 4/5 durante la costruzione della ferrovia e gli scavi della Compagnia francese.  La costruzione del canale, iniziata nel 1904, venne portata a termine nel 1914.  Molto merito nella riuscita dell’impresa va dato alla ferma decisione di costruire il canale del presidente degli Stati Uniti Theodore Roosvelt e all’appoggio da lui dato alla trasformazione del progetto da canale a livello del mare a quello di un canale con chiuse, risparmiando così l’enorme lavoro di scavo per decine di miglia. Per ottenere questo è stato necessario costruire la diga di Gatun che sbarra il deflusso delle acque del fiume Chagres nel Mar dei Caraibi e si è creato così il lago di Gatun le cui acque si trovano a 85 piedi sopra il livello del mare.  La diga di terra è alta 105 piedi, lunga 1,5 miglia, e larga alla base 1/2 miglio; il lago ha la lunghezza massima di 30 M e la larghezza massima 20.

La nave ha contattato 48 ore prima il Port Captain dando tutte le informazioni sulla nave e sul carico. In porto salgono a bordo le autorità per il disbrigo delle pratiche di dogana, immigrazione, quarantena, nonché i piloti che piloteranno la nave nel transito.  Per ogni nave vengono a bordo due piloti del canale che, su ciascun lato del ponte di comando, guideranno la nave nelle chiuse. Se la nave è molto lunga e larga i piloti saranno quattro, due dei quali sistemati in vicinanza della prua.  La tassa da pagare per il transito è basata sul “Panama Canal net tons”, 100 piedi cubi di spazio commerciale: una comune nave da carico paga circa 10.000 dollari. La grande portacontainers TOKIO BAY pagò la somma di 40,936.50 dollari nel ‘72 e la nave passeggeri QUEEN ELIZABETH 2° 68,446.46 nel ‘75, ma la tariffa viene aumentata col passare del tempo. La responsabilità della navigazione e delle manovre nel canale è dei piloti, ma il personale di bordo deve assicurare il perfetto funzionamento dei macchinari e la pronta risposta agli ordini dei piloti. Le navi transitano in convoglio e la larghezza del canale permette il passaggio di navi che si muovono in direzione opposta. Per le navi che entrano dall’Atlantico le prime sette miglia fino alla chiusa di Gatun sono a livello del mare. Avvicinandosi alla prima chiusa una freccia luminosa indica ai piloti quale delle due chiuse verrà utilizzata dalla nave mentre in una imbarcazione, ormeggiatori portano i cavi che connettono la nave ai locomotori elettrici, chiamati “mule”, che attendono sui due lati della chiusa, e che agevoleranno la manovra della nave per entrare. Le navi di medio tonnellaggio usano 4 mule, due per lato della nave, mentre le grandi navi ne usano il doppio. Le chiuse sono lunghe 1000 piedi e larghe 110. Ad ogni entrata del canale ci sono 3 gruppi di due chiuse che consentono di sollevare la nave dal livello del mare agli 85 piedi del lago di Gatun e di farla poi discendere nuovamente dall’altra estremità del canale fino a livello del mare. Le navi più larghe che hanno attraversato le chiuse sono state le due navi da battaglia NEW JERSEY e la gemella MISSURI larghe 108 piedi e la portacontainers TOKIO BAY, larga 106. Quando le grandi porte delle chiuse, costruite in compartimenti, larghe 7 piedi e quasi galleggianti nell’acqua, sono aperte la nave entra nella chiusa usando le macchine e viene mantenuta in centro dalle “mule”, che poi la fermano in posizione. Chiusa la porta, l’acqua che viene dal lago di Gatun e si muove per gravità da un livello superiore a quello inferiore, senza l’aiuto di pompe, ma agendo sulle valvole nelle tubazioni, viene immessa nella chiusa e portata allo stesso livello dell’acqua che sta nella chiusa successiva.  Si apre allora la porta che sta in fronte alla nave, che entra così nella seconda chiusa: questo procedimento si ripete per la terza chiusa nella quale l’acqua viene portata al livello del lago di Gatun, 85 piedi sul livello dei mare. Tutte le operazioni nelle chiuse sono comandate a distanza, dalla stazione di controllo, che è situata sulla banchina al centro fra le chiuse. Nella stazione un pannello riproduce in miniatura le chiuse e tutti i meccanismi che sono sincronizzati per muoversi con le apparecchiature sistemate nelle chiuse: porte, valvole, catene di sicurezza.  Lasciate le chiuse la nave procede nel lago di Gatun verso l’uscita a Panama: la rotta è indicata da boe e da segnali di allineamento tutti luminosi che, assieme alle luci lungo tutto il percorso, permettono la navigazione continua giorno e notte. L’acqua del lago di Gatun è il mezzo che permette il funzionamento del canale e il suo livello deve essere tale da permettere il passaggio a tutte le navi con il pescaggio consentito. L’acqua proviene in massima parte dal fiume Chagres: durante la stagione delle piogge, da maggio a dicembre, non ci sono problemi per il rifornimento; nella stagione asciutta le perdite di acqua dovute al transito delle navi, che ad ogni passaggio disperdono in mare 52 milioni di galloni di acqua (approssimativamente il consumo giornaliero di una città di 300.000 abitanti) superano il rifornimento del fiume: per ottenere il livello necessario viene prelevata l’acqua del lago di Madden, creato nel 1930, che si trova nella parte più alta del fiume Chagres.  A Gamboa, dove il Chagres sfocia nel lago di Gatun, si trova la sede della Divisione dragaggio del Canale che ha il compito di tenere il canale e i porti dragati e liberi da ogni ostruzione. Provenendo dall’Atlantico, passata Gamboa, si entra nel famoso “Gaillard Cut” soprannominato “la grande fossa”, durante la costruzione del Canale: lo scavo di questa sezione, che è lunga 8 miglia e passa attraverso la catena di montagne Continental Divide, è stato uno dei più monumentali lavori nella costruzione del Canale. Il punto più basso della gola tra le montagne, attraverso le quali passa il Canale, originariamente era 312 piedi sopra il livello del mare; all’apice dei lavori, ogni giorno, 333 treni trasportavano ognuno 400 tonnellate di terra e roccia fuori dallo scavo. Passato il Gaillard Cut la nave entra nella chiusa Pedro Miguel e, ripetendo in maniera inversa la procedura fatta nelle chiuse per entrare nel lago di Gatun, viene fatta scendere di 31 piedi ed entrare nel lago di Miraflores.  Qui, con la stessa manovra, due chiuse successive fanno scendere la nave di altri 54 piedi, portandola al livello dell’Oceano Pacifico.

L’autore ringrazia il Comandante Giuseppe Quartini per le interessanti conferenze di carattere nautico tenute al Nautico di Camogli.

 

Panama:  Ponte delle Americhe.   Fotografia dell’allieva ufficiale  Olivari Nicole

Chiusa di Gatun

Lago Pedro Miguel

“La grande fossa” Gaillard Cut

 

 

Pivoli, Pennoni e Griselle: la vita in Accademia

Posted on : 22-12-2018 | By : admin | In : Racconti di Mare

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Sono uno studente che ha da poco concluso il Liceo Classico quando, in risposta alla mia domanda, ricevo dall’Accademia Navale la lettera che attendevo con apprensione da qualche mese: presentarsi alla visita medica per il concorso allievi della 1a classe.

Accarezzavo il desiderio di entrare in Accademia da quando ero studente di ginnasio, anche se, a dire il vero, la fine dolorosa della guerra aveva lasciato in me qualche incertezza.

Decido di presentarmi ma appena arrivato provo sgomento nel vedere il gran numero di partecipanti alla visita medica, che si conclude con circa 200 concorrenti per 50 posti.

Il tema di italiano è un altro sbarramento eliminatorio prima di iniziare un tirocinio preliminare di tre mesi circa, con lo scopo di una selezione anche attraverso una prova di ‛vita in Accademia’. Sveglia quasi all’alba, conferenze, lezioni di trigonometria, esercitazioni militari e sul Brigantino interrato nel piazzale: poi, alle 9, tutti a dormire. Alla fine del tirocinio un compito scritto e un esame orale di trigonometria, un esame orale di cultura generale e una valutazione – data da ufficiali assegnati al corso – sulle nostre attitudini per la vita nella Marina Militare.

Ogni giorno ci sono dimissionari e all’assemblea nel piazzale ci contiamo e confrontiamo, commentando le motivazioni. Alla fine del tirocinio siamo solo 56 gli ammessi in 1a classe.

Si procede quindi nella scelta del corpo preferito: Stato Maggiore, Genio Navale e Armi Navali.

Su tale scelta pesa l’esito della visita medica per la vista: una miopia, anche lieve, non consente di scegliere lo Stato Maggiore ma solo i corpi tecnici, con grande delusione di chi – come me – avrebbe preferito lo Stato Maggiore. Ma pur di arrivare a essere un ufficiale di Marina resto e scelgo il Genio Navale, che consente tra l’altro periodi più lunghi di imbarco e quindi una vita più vicina ai miei desideri. Completate le scelte tra i corpi, in 1a classe siamo: 37 di Stato Maggiore, 11 del Genio Navale, 8 delle Armi Navali. Dopo una breve licenza ha inizio la 1a classe.

Gli allievi anziani della 2a classe ci chiamano ‛pivoli’ e siamo interrogati su argomenti di vita sul Vespucci, sulle sue attrezzature, fino alla Santa Barbara che si conclude con uno… ‛scontro fisico’ per occupare il brigantino dove la 2a classe si era insediata.

La giornata dell’allievo è una giornata piena, cadenzata dal suono della tromba, spesso stonata: in Accademia non c’è tempo per annoiarsi.

Le pratiche mattinali, la ginnastica in piazzale, un’ora di studio per prepararsi alle lezioni successive che si snodano per 4-5 ore al mattino, per poi lasciare il pomeriggio libero alle pratiche sportive e allo studio, con breve spazio per la ricreazione. L’assemblea degli allievi per l’ora di pranzo inizia con una specie di cerimonia: ‛la lettura delle ricompense e punizioni’ effettuata dall’allievo brigadiere. Infine, una o due volte la settimana, il cinema, mentre il giovedì e la domenica la franchigia.

Alla fine del primo anno arriva il momento dell’imbarco sulla nave scuola Amerigo Vespucci per la crociera estiva. Le emozioni sono infinite: si inizia dai giri di barra, quasi un saluto a noi ‛pivoli’. Si salta sulle griselle dell’albero di maestra, si arriva alla coffa e poi alla crocetta, per poi scendere e risalire di nuovo, a seconda del numero di giri inflitti. Dalla crocetta – con un po’ di strizza – butto lo sguardo in basso e con un respiro profondo osservo tutto estremamente piccolo.

Prima della partenza per la crociera c’è il saluto alla voce in piedi sui pennoni, poi il posto di manovra, la partenza, il contatto con il mare, le manovre sempre sui pennoni, le burrasche con posti di manovra anche notturni, la navigazione a vela in Atlantico con gli alisei e a motore nella nebbia verso il nord Europa, il dormire stanchi sulle cime distese in coperta, le ore di guardia come vedette sulle lance: esperienze uniche e indimenticabili. Poi le visite alle città estere, che cambiano di anno in anno e che per il nostro corso sono Palma di Maiorca, Porto Mahon, Gibilterra, Santa Cruz de Tenerife, Funchal, Ponta Delgada, Fayal, Tangeri, Dublino, Barcellona, Malaga, La Coruña.

Il Vespucci, oltre a essere riconosciuta ‟la nave più bella del mondo”, è altamente formativa per gli allievi. Tra gli avvenimenti da ricordare uno in particolare per il nostro corso: il brindisi per l’ingresso della nave Vespucci nell’Atlantico dopo… nove anni! E l’ufficializzazione del nome del corso: Atlantici, con la nostra bandiera che ‛sale a riva’.

Il secondo anno si conclude con una seconda crociera sul Vespucci, mentre il terzo, finalmente, con la nomina ad aspirante, la crociera sulla nave Montecuccoli e la comunicazione della destinazione su una nave della squadra. Comincia così la vita che avevamo sognato.

Da ricordare una tradizione: il ‛MAK π 100’ (con p greco), che significa che ‛mancano 100 giorni’ alla fine del periodo trascorso in Accademia! Questo evento rende più facile il trascorrere dell’ultima parte in Accademia, con festeggiamenti vari per tre giorni e con ‛il gran ballo’, la partecipazione di parenti, amici e anche delle ragazze che ci avevano ‛sopportato’ nelle serate di comandata.

Come inizio del percorso di vita sulle navi voglio ricordare quanto l’Ammiraglio Fioravanti aveva scritto su una guida pratica per noi giovani ufficiali che da poco avevamo lasciato le aule severe dell’Accademia Navale:

‟Fino a poco tempo fa voi avete sempre e soltanto studiato e le difficoltà della vostra vita non sono state che di ordine intellettuale e soggettivo. Voi non avevate che da vigilare su voi stessi, conoscere voi stessi. Finora non siete vissuti che nel vostro pensiero: ora, improvvisamente, cominciate a vivere nella realtà. La realtà è fatta di uomini, di cose e di avvenimenti: voi dovete imparare a guidare gli uomini, ad agire e a dominare gli avvenimenti. Avrete in principio pochi ed apparentemente facili incarichi: vi potrebbero sembrare anzi troppo umili e troppo al di sotto dell’altezza dei vostri studi recenti, se voi non rifletteste che, nella complessa vita di una nave, a voi è naturalmente affidata una nobile e alta missione, perché siete proprio voi tra i più immediati educatori dell’equipaggio, e che non vi sono incarichi umili e incarichi onorifici, ma solo diversi modi di intenderli ed espletarli. Sui banchi della scuola si è sviluppata la vostra intelligenza, sui ponti delle navi si forma il vostro carattere e si perfezionano le vostre attitudini”.

Navi ad alta tecnologia – Mineraliere e Gasiere

Posted on : 05-03-2016 | By : admin | In : Letture

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A cura del Comandante Capitano di lungo corso Rosario Conte

Metaniere

Negli ultimi decenni è aumentato moltissimo il trasporto del metano o GNL -gas naturale liquefatto- vuoi per il prezzo inferiore rispetto al barile di petrolio, vuoi per il migliore potere calorifico.

Si è sviluppata quindi una forte richiesta di mercato e di conseguenza sono state costruite metaniere che rispondono ai requisiti di sicurezza ed affidabilità. Oggi queste costituiscono il fiore all’occhiello della nuova marineria energetica, anche se richiedono un’ottima conoscenza dei vari impianti di cui sono dotate.

Una metaniera è composta da serbatoi di carico (da 4 a 6), stive carico ed interbarriere. I serbatoi carico possono essere a sfera o a cisterne tradizionali. Il materiale, per quelle a sfera, è a lamelle a membrana, mentre per le cisterne tradizionali è una lega acciaio/alluminio idonea per resistere alle basse temperature.

Il metano viene trasportato ad una temperatura media di –160°C, e si riscalda, durante un viaggio di 5 o 10 giorni, di 1°C.

I serbatoi, al momento della caricazione, devono avere un dt (differenziale termico) di 60°C, limite da non superare, perché se ci fosse una variazione superiore di temperatura tra il fondo e la parte sovrastante, ciò determinerebbe movimenti bruschi che inclinerebbero i serbatoi stessi; per questo motivo ogni serbatoio possiede quattro linee spray di varie altezze (alto, medio-alto, medio-basso, basso) nelle quali si effettua il raffreddamento o cool-down in modo che all’arrivo al porto di destinazione la nave sia pronta per la caricazione o per la discarica.

Per poter eseguire questa operazione, durante la discarica, nel serbatoio N°1 si lascia una certa quantità di metano (o Hell) che servirà per raffreddare (mediante una linea di ricircolo) gli altri serbatoi; come conseguenza, per effetto dello scambio termico, nei serbatoi aumenterà sensibilmente la pressione dei vapori di metano. A questo punto, sia mediante aspirazione con i compressori (2) che mandata ai riscaldatori (2), si porterà la temperatura del metano a + 50/60 gradi C, ed il tutto si brucerà in macchina come un comune combustibile.

Ogni serbatoio carico è munito di 4 valvole di sicurezza, due delle quali, in caso di emergenza, apriranno a 2000 mm/H2O, mentre le altre a 2200 mm/H2O. Da ricordare che ogni serbatoio è dotato di due turbo-pompe per la discarica, ciascuna delle quali ha una portata di 500 mc/h.

Le stive, dove il serbatoio è alloggiato, sono a pressione di azoto, un gas inerte utilizzato per impedire la formazione di miscele esplosive in caso di rottura.

L’azoto è supplementato dalle regolatrici automatiche che si aprono o chiudono, in funzione della richiesta.

Le metaniere di vecchio tipo hanno due serbatoi di stoccaggio di azoto di circa 22000 litri ciascuno; vengono supplementati, via pontile, ogni 30/40 giorni; quelle nuove invece hanno un impianto di produzione autonoma.

I serbatoi carico sono ancorati nelle stive mediante chiavetta guida, simili alle rotaie dei treni. Le chiavette (2 per chiglia, 2 per madiere) sono importantissime perché permettono ai serbatoi di alzarsi durante la discarica e di abbassarsi durante la caricazione.

È importate rispettare il dt di 60°C fra la parte alta e quella bassa del serbatoio durante la caricazione.

L’interbarriera è uno spazio fra la stiva ed il serbatoio, a pressione di azoto, supplementata da regolatrici automatiche. Serve a creare un cuscinetto di sicurezza per eventuale fuoriuscita di liquido, che prontamente verrebbe recuperato tramite una pompa sita sul fondo.

Gasiere

I gas liquefatti ottenuti dal petrolio seguono le leggi dei Gas Perfetti. Essi vengono trasportati su navi cisterna particolari denominate “gasiere”, le quali si suddividono in: pressurizzate, semi-pressurizzate, refrigerate, semi-refrigerate. I parametri che devono essere presi in considerazione sono: temperatura, pressione, volume.

Quindi, secondo le richieste dei caricatori e dei ricevitori, viene impiegato un tipo di nave rispetto ad un altro.

I particolari più importanti sono: a) serbatoi del carico e linee del carico; b) le pompe del carico e le pompe di rilancio; c) i compressori del carico ed i condensatori; d) riscaldatori del carico.

a) Serbatoi sono costruiti in acciaio ed hanno forme varie: sferica, cilindrica, “bilobata”. Il bilobato è formato da due serbatoi cilindrici accoppiati, divisi da una paratia longitudinale e messi in comunicazione da una valvola di piede. Nella parte poppiera del serbatoio c’è un’area detta “duomo” da dove partono tutte le linee destinate al carico. I serbatoi, all’interno, hanno solitamente 4 tipi di tubolatura di differente diametro:

1- una tubolatura per l’imbarco del Gas Liquido che parte da circa 50 cm dal fondo del serbatoio, raggiunge il duomo e da questo va al centro nave alle linee d’imbarco;

2- una seconda tubolatura per il Vapore che va alla parte interna alta del serbatoio, giunge al duomo e da questo va sino al centro nave sulle linee d’imbarco;

3- un’altra per l’aspirazione in fase di discarica ed è collegata ad una elettropompa con le giranti immerse fino a 15 cm sul fondo di un pozzetto. Dalla mandata dell’elettropompa la linea arriva sino a centro nave sulle linee d’imbarco/sbarco;

4- una per il Condensato o Spray che si estende longitudinalmente ed ha la funzione di raffreddare i vapori dei gas e quindi di abbassare la pressione. A volte ci sono due linee di condensato, una delle quali posta ad un terzo dal fondo. La funzione di queste linee è di abbassare la temperatura e quindi la pressione nel serbatoio.

5- Una linea detta stripping del diametro Ø = 1” che serve per facilitare nella parte finale la discarica del gas liquido.

6- Dal duomo parte anche la linea vapore che va agli sfoghi detti candele. Su questa linea sono collegate le valvole di sicurezza che servono per lo sfogo dei gas in atmosfera, nel caso ci fosse un’eccedenza di pressione nei serbatoi.

All’interno dei serbatoi, in vari punti, sono posti i bulbi dei termometri.

Si considerano soprattutto le temperature: Alta, Media, Bassa, quella del pozzetto di aspirazione della pompa e di altre parti del serbatoio dette Pelli. È importante conoscerla temperatura delle Pelli perché durante l’imbarco del gas liquido deve essere omogenea l’escursione termica su tutta la superficie del serbatoio. Sul duomo sono collegati i manometri che forniscono la pressione nel serbatoio.

b) Le Pompe del Carico sono centrifughe e trascinate da un motore elettrico collegato ad un asse che attraversa il serbatoio ed all’estremità di quest’ultimo sono collegate le giranti immerse nel pozzetto. In coperta c’è un duomo sul quale poggia la base della pompa; da cui parte la mandata con una valvola di non ritorno; arriva sino a centro nave sulle linee d’imbarco/sbarco.

Le pompe di rilancio (Boaster pumps) sono pompe volumetriche montate in serie sulle mandate delle pompe del carico. Sono impiegate quando c’è un’alta contro-pressione durante la discarica e quando si fa uso del riscaldatore.

c) I compressori del carico sono indispensabili per consentire la manipolazione del gas. Infatti vengono utilizzati per aspirare il vapore dai serbatoi del carico ed inviarlo nei Condensatori. Da questi ultimi si ricava il condensato che a sua volta viene inviato nuovamente nei serbatoi del carico.

Il principio di funzionamento dell’impianto è il seguente: si aspira il vapore dai serbatoi tramite i compressori; il vapore, nella fase di compressione, ha un aumento di temperatura; il vapore surriscaldato viene inviato nel condensatore.

Il Condensatore è formato da un involucro chiamato mantello e da un fascio tubiero. Nel mantello è presente il vapore caldo inviato dai compressori e nel fascio tubiero entra ed esce l’acqua di mare che consente, grazie allo scambio termico, la formazione del condensato. Sulla linea di uscita del raccoglitore del condensatore è montata una valvola laminatrice che consente l’espansione del condensato facendogli abbassare la temperatura prima di raggiungere il serbatoio. L’espansione avviene in quanto a monte della valvola laminatrice c’è una pressione più alta rispetto a quella a valle e quindi rispetto a quella dei serbatoi. L’invio del condensato nel serbatoio consente, con l’abbassamento della temperatura, il raffreddamento del carico, se è necessario o se è richiesto.

d) Riscaldatore del carico montato in coperta ha la stessa caratteristica del condensatore: mantello con fascio tubiero. L’unica differenza che nel mantello passa il gas liquido anziché il vapore. Durante la discarica, tramite un by-pass si fa passare parte del carico attraverso il riscaldatore, che fa aumentare la temperatura; l’altro carico arriva alle linee di centro nave per la discarica. In questo punto il carico si mischia e si porta alla temperatura richiesta dal ricevitore.

Mineraliere-Gasiere

Andar per mare

Posted on : 05-03-2016 | By : admin | In : Racconti di Mare

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Memorie del Comandante Mario Devoto

Andai per mare la prima volta in una serena giornata di Settembre, tanti anni fa. A quel tempo la Marina Mercantile Italiana si stava faticosamente riprendendo dalle forti perdite subite negli anni della guerra e gli Stati Uniti avevano contribuito alla rinascita cedendo numerose navi costruite negli anni del conflitto. Si trattava dei Liberty, navi semplici, essenziali, innovative per il metodi di costruzione, essendo le prime navi saldate; ma ancora prive di sistemi di ausilio alla navigazione, di radar, di girobussole, di strumenti elettrici o satellitari quali quelli in dotazione alle navi moderne. Per navigare su quel tipo di navi bisognava essere veramente bravi marinai. Fu su una di quelle navi che m’imbarcai, un Liberty che da La Spezia sarebbe andato a Norfolk (Virginia) a caricare carbone. Passammo lo stretto di Gibilterra di giorno ed appena iniziata la traversata atlantica cominciammo a rollare. Navigavo perché imbarcarsi a quel tempo era un’occasione di lavoro, per tradizione familiare ed anche perché il mare mi affascinava, come mi avevano affascinato le letture giovanili (di Jack London, Conrad…). Quello che non sapevo allora era che il mare, il grande mare Oceano, sarebbe stato un’enorme parte della mia vita ed anche un grande amore.

Ho ancora un ricordo vivissimo del primo imbarco, dell’impatto con la vita di bordo, della figura del Comandante, un vero Master. Durante quel primo imbarco ebbi il battesimo del Mare del Nord. Una difficile palestra per ogni marinaio. Si afferma: chi sa navigare in quelle acque può navigare in qualsiasi altro mare. Passammo il Canale di Keel che mette in comunicazione il Mare del Nord col Mar Baltico. All’altezza di Amburgo le sponde del canale erano verdissime di erba e tanto vicine alla nave che sembrava di procedere in un mare di erba e di papaveri. Ho navigato, negli anni successivi, su navi più moderne, su petroliere italiane della Nai e dell’Almare; ho toccato i porti di cinque continenti transitando varie volte attraverso Suez, Panama, Golfo Persico, Dardanelli e Bosforo, solcando gli oceani e doppiando i capi di tutto il mondo.

Andar per mare per lunghi mesi trasportando merci da un porto all’altro della Terra non è certo come navigare per diporto. Il marittimo non è un novello Ippolito che, beato, ai suoi verdi anni correva di Grecia il mare. Il marinaio, oltre all’amore per il mare, porta con sé senso di responsabilità e sacrificio, professionalità e coraggio. Dovrà affrontare il gran caldo, il grande freddo, la solitudine, la lontananza e la separazione dalle persone care, dagli affetti, dovrà ad ogni partenza crearsi un nuovo spazio su una nave diversa con nuovi colleghi, nel profondo rispetto della disciplina che trae norme dal Codice della Navigazione, che prevede una sola gerarchia ben precisa, un’organizzazione per garantire il perfetto funzionamento e la sicurezza di lavoro di tutto l’equipaggio.

Andar per mare è una dura scuola di vita. Per un comandante significa saper affrontare il mare senza mai sfidarlo, conoscerlo come si conosce se stessi, sapere a fondo le qualità della nave per prevedere come essa risponderà ai comandi in qualsiasi momento o in qualsiasi emergenza difficile. Tutto questo con la precisa consapevolezza dei propri limiti e di quelli della nave. Nonostante tutto, andar per mare rimane sempre una bella avventura. Vi sono emozioni, nel navigare, di cui un marinaio difficilmente parlerà, specialmente se è ligure, poco incline alla confidenza, ma di cui altrettanto difficilmente si potrà dimenticare: certi tramonti, certe albe ed aurore, passare dai tropici con certe notti, i silenzi del crepuscolo che ‟inteneriscono il core”, l’amicizia del compagno, superiori o subalterni che siano, le confidenze brevi, sparute, gli scherzi, le partite a carte, i film, qualche bevuta, dieci balene che passano, incrociare una nave conosciuta e salutarla con la sirena.

Scendere a terra in gruppo, scendere per il piacere puro di camminare sulla terraferma, per sedersi al tavolino di un bar davanti al porto con una bibita ghiacciata e guardare da lì la tua nave ferma e sapere che senza di te non partirà perché aspetta il tuo ritorno.

È finito da diversi anni il mio tempo ‟andar per mare”. Non è finita e forse non finirà mai la mia nostalgia.

Comandante Mario Devoto.

Curva di evoluzione e bilanciamento

Posted on : 05-03-2016 | By : admin | In : Letture

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TECNOLOGIA e ARTE NAVALE

La curva di evoluzione ed il bilanciamento

a cura dei del Primi Ufficiali Capitani di Lungo Corso

Paolo Ansaldi – Fabio Tortora

 

Premessa. La relazione è nata da una segnalazione del CLC Paolo Ansaldi (Istruttore nel Centro olandese di addestramento degli Ufficiali delle Marine mercantili) il quale inviò all’Autore una particolare tabella compilata con i tre elementi del moto circolare: velocità della nave, raggio di girazione, velocità angolare r.o.t. indicata anche con W (Rate of Turn r.o.t). Il r.o.t. , in generale, è l’elemento cercato nella curva di evoluzione, in funzione della velocità V della nave e del raggio di evoluzione R:

V = W∙R r.o.t. : W = V / R R = V / W

Una nave in evoluzione, per effetto della forza centrifuga, sbanda di qualche grado verso l’esterno della curva. Se le circostanze lo permettono, è opportuno bilanciare lo sbandamento.

Argomentazioni interessanti: importante connessione tra l’accostata ed il bilanciamento.

Il Capitano CLC Fabio Tortora (Primo Ufficiale sulle navi passeggeri della società Carnival), nel solco già tracciato, ha argomentato introducendo ulteriori considerazioni.

L’autore si è limitato a esporre qualche annotazione teorica.

Ai due Ufficiali CLC Paolo Ansaldi e Fabio Tortora va il ringraziamento dell’autore e di Quaderni Marinari.

 

  1. Architettura Navale. La nave vista dagli Ingegneri navali
  2. Le Prove in mare
  3. Parametri della curva di evoluzione
  4. Relazione tra V’ R e ROT (W)
  5. Tabella e sua interpretazione
  6. La guardia col l° Ufficiale (F.T.)
  7. Bilanciamento
  8. Comandanti e le manovre
  9. Le tecniche delle navi portacontenitori.

 

 

  1. Architettura Navale. La nave vista dagli Ingegneri navali.

Alcune tecniche della navigazione marittima hanno subito, negli ultimi cinquant’anni, notevoli cambiamenti, effetti dal progresso della tecnologia nel campo della ingegneria navale.

Il contatto casuale con Ingegneri del CETENA ha stimolato l’interesse su talune tematiche che verranno considerate, sia pure sommariamente, nelle note che seguono.

Consideriamo la curva di evoluzione della nave: le occasioni sono: quando la nave è manovrata per attraversare uno stretto o quando effettua un’ampia accostata per evitare il rischio di collisione con altra nave, nell’inversione di rotta in attesa di ricevere il pilota per entrare in porto; quando la nave entra in uno schema di separazione del traffico ed incontra una rotonda (rotatoria)…

Saranno esaminati alcuni aspetti nuovi che si aggiungono a quelli già trattati nei paragrafi del capitolo X del libro di Navigazione Moderna.

È opportuno dare inizialmente uno “sguardo” panoramico alle problematiche legate ai progressi della tecnologia nel campo della ingegneria navale.

Dopo gli studi sul profilo della nave, delle resistenze in acqua, delle qualità nautiche, eccetera, viene costruito il modello bave, oggetto di rilievi empirici sulla grande vasca di sperimentazione.

I modelli di similitudine meccanica, i nodelli matematici, programmi e componentistica (software e hardware compatibili) completano il primo ciclo di studi teorici e delle prime prove sperimentali.

Seguono l’allestimento e le prove in mare.

 

 

  1. Le Prove in mare.

Concludono l’ultima fase di allestimento di una nave nuova (o di una nave che abbia subìto rilevanti trasformazioni). Nelle prove in mare, eseguite con dislocamenti corrispondenti al servizio più usuale della nave, sono registrati, grazie ai numerosi sensori variamente dislocati in vari punti della nave, i parametri delle curve di evoluzione effettuate con due velocità (ad esempio 12 e 20 nodi) e con due angoli di timone (ad esempio 10° e 30°). I dati registrati sono poi esaminati ed elaborati dai tecnici e da ingegneri navali. Dopo lo studio si disegnano i grafici e si compilano tabelle di “quella data” nave; concorrono anche i valori interpolati ed estrapolati tra le due coppie di velocità ed angoli di timone considerati, che otremmo chiamare le ‟coordinate dinamiche” della nave. Al termine si arriva a disegnare le curve di evoluzione (corved tracks).

 

 

3) Parametri della curva di evoluzione.

Il primo punto della curva di evoluzione è quello in cui si mette il timone alla banda (Wheel over point – WOP); gli altri due punti caratterizzanti e fondamentali sono: avanzo 90° e spostamento laterale 180°, espressi in metri. Inoltre viene individuato l’angolo di massima inclinazione della nave (comunque evidenziato dall’inclinometro durante l’evoluzione).

Nel punto di timone (W.O.P.) la nave, con velocità iniziale V, entra nella prima fase evolutiva: fase transitoria di girazione; essa termina quando l’angolo di prora è cambiato di 40 – 45 gradi.

Oltre tale valore la nave entra nella fase che può ritenersi, con accettabile approssimazione, fase di regime rotatorio (anche se la fase della curva molto prossima alla circonferenza arriva dopo li punto di spostamento laterale ‟S.L. 180°”).

Superati i 45° di accostata, viene rilevata la velocità lineare V’, il cui vettore (tangente alla curva) è minore della velocità iniziale V a causa della resistenza opposta dalla pala immersa del timone alla banda. Con il valore di V’ viene calcolata la velocità angolare media di evoluzione (R.O.T. Rate of Turn). Un valore medio di riduzione Δv è valutato intorno all’un per cento della velocità V per ogni grado di timone “t” alla banda.

Riterremo che le due curve, oraria e antioraria, per timone a dritta e a sinistra, siano praticamente uguali alla loro curva media.

Velocità di girazione. La velocità di girazione è la velocità angolare media W (R.O.T.) durante la fase rotatoria. V = W ∙ R ; W = V / R ; R = V / W

La figura mostra l’inversione di rotta di una nave che da Rotta 000° passa a Rotta 180°. Il punto di timone alla banda è W.O.P (Wheel over point). Tra i punti evidenziati si notano i transiti sui punti: Av. 90° (Avanzo), S.l. 180° (Spostamento laterale).

Velocità lineare V’ lungo un arco di circonferenza, raggio R e velocità angolare di rotazione W denominata R.O.T. (Rate of turn), sono correlate tra loro da una formula della Dinamica (Fisica)m sopra riportata.

Prima di evidenziare la T.O.T. vediamo come si calcola la V’ di evoluzione quando sono noti:

V Velocità d’inizio evoluzione, la perdita percentuale di velocità Δv, per ogni grado di timone t° alla banda: V’ = V(1 – Δv.t° / 100)

I Esempio : V= 8,90 nodi Δv =1 ; t° = 10° La velocità V’ risulta 8,01 nodi.

 

Curva di evoluzione

 

Nota.

Elica destrorsa. Curva in acque profonde “P”: In acque poco profonde rispetto all’immersione I (P/I<3), la curva si allarga.

Curva ricavata dalla media dei valori delle evoluzioni in senso antiorario ed in senso orario. L’elica destrorsa, per l’effetto laterale delle pale, ha nella curva di evoluzione in senso orario, parametri (Avanzo 90, spostamento laterale 180 e “raggio” di evoluzione) lievemente maggiori rispetto a quelli della curva in senso antiorario. Pertanto: i valori che si riscontrano nella pratica della navigazione sono, in generale, lievemente differenti da quelli tabellati: maggiori se l’accostata avviene con timone a dritta; lievemente minori quando si effettua l’accostata con timone a sinistra; sempre per angolo di 20°.

Dati della curva di evoluzione

Tempi

Accostata

Distanza all’incrocio

Trasferimento

Avanzo (y)

Spostamento laterale(x)

1m 30s

2m 45s

3m 56s

5m 05s

6m 35s

8m 54s

ΔPv

30°

45°

60°

75°

90°

105°

120°

135°

150°

165°

180°

270°

360°

Metri

250

300

365

430

510

615

760

980

Metri

120

165

210

265

340

440

580

800

Metri

350

415

470

500

510

500

470

415

350

270

190

Metri

60

120

180

255

340

425

505

570

630

660

670

Nota. I punti, in pratica, sono più numerosi di quelli elencati.

Tabella riassuntiva dei Parametri (valori medi) di una nave di Dislocamento 5090 Tonn.

Lunghezza nave L= 91 mVelocità iniziale 12 n. (6,17 m/s)Angolo timone α 20°Δv 0,01

Avanzo 90°: 510 m (5,6·L) Spostamento Laterale 180°: 670m (7,4·L)

Raggio” R 335 m (3,7·L) R.O.T. 39°/m

 

4) Relazione tra V’ R e ROT (W):

 

W= V’ / R formula dei moti circolari uniformi.

Segnaleremo le formule “rapide” e le formule precise.

Si desidera avere una ROT espressa in gradi al minuto (°/min): V’ entra nella formula in nodi, R in miglia ;

Formule rapide Formule precise

 

R.O.T.°/mln=V’nodi ; R.O.T.°/min = (V’nodi / Rmiglia).0,95

Rmiglia

 

Rmiglia =(V’nodi /ROT° min) ; Rmiglia = (V’ nodi / ROT° min).0,95

 

V’nodi= Rmiglia . ROT°min ; V’nodi= Rmiglia . ROT°min.1,05

 

II Esempio (con formule precise):

Primo esercizio V ‘= 12 nodi, R = 3 miglia. Risultato: ROT 3,8° al minuto.

Secondo esercizio: V’ 6 nodi, raggio 3 miglia, ROT 1°,9 al min.

Questi risultati si trovano anche nella tabella (più avanti riportata) dove si entra con R (raggio, in inglese Radious, latino: Radius) argomento verticale, V’ in nodi (velocità tangenziale lungo la curva) è l’argomento orizzontale; nel corpo della tavola si legge il R.O.T. in gradi al minuto (°/min).

 

5) Tabella e sua interpretazione.

 

Si può notare, dall’esame della tabella, che la velocità angolare R.O.T. cresce col diminuire del raggio di curvatura, specialmente se e elevata la velocità V’ (e così dicasi per V ).

La tabella ha carattere generale, valida per tutte le navi.

Le considerazioni che seguono, pur interessando ogni nave, hanno maggiore importanza sulle navi passeggeri. Ogni accostata, con elevata velocità angolare (°/min) comporta uno sbandamento causato dalla forza centrifuga, sulla nave, diretta verso l’esterno dell’accostata.

I valori sbarrati della velocità angolare, maggiori o uguali a 30°/min, sono sconsigliati, specialmente per le grandi navi passeggeri. I valori sottolineati, da 19 a 29 gradi al minuto, sono accettabili purché la nave abbia dispositivi per ridurre lo sbandamento. Tali dispositivi consistono nel travaso di acqua (ad esempio acqua di lavanda) dalle tanche “esterne” (relativamente alla curva di evoluzione) alle tanche “interne”. Ciò al fine di ridurre lo sbandamento.

Viene riportato uno stralcio della tabella “Ansaldi

 

Stralcio tabella Ansaldi delle velocità angolari R.O.T. in °/min

 

V’2 4 6 8 10 12 14 16 18 20

R

.5 4 8 11 15 19 23 2731 34 38

1 2 4 6 8 10 11 13 15 17 19

21 2 3 4 5 6 7 8 9 10

31 1 2 3 3 4 4 5 6 7

4.5 1 1 2 2 3 4 4 4 5

 

Il lettore può verificare la risoluzione del primo e del secondo esercizio del II Esempio impiegando la tabella che dà, però, valori arrotondati al grado più vicino.

Nota: i valori elevati sottolineati e particolarmente quelli sbarrati

Sono teorici, cioè estranei alla pratica di bordo.

III Esempio: Raggio 1,50 miglia; V’ = 19 nodi;

Dalla tabella, ma più precisamente dal calcolo, si trae ROT = 12°.1 al minuto.

Calcolo della velocità V corrispondente a V’ 14 nodi ; si conosce Δv = 1,1 percentuale, timone t = 15°

Per evoluire con tale velocità la nave deve arrivare al punto di timone alla banda (Wheel over point WOP) con la velocità V di 16,8 nodi., valore ottenuto con la seguente formula risolutiva:

V= V’ / (1 – Δv∙t°/100)

IV Esempio. Raggio di evoluzione 1,5 miglia; velocità in evoluzione V’ 15 nodi. La tabella ed il calcolo forniscono il seguente R.O.T.: 9°,5 al minuto.

Problema inverso. La formula del ROT è risolvibile rispetto a R ed a V’.

Rmiglia = (V’ nodi / ROT° min).0,95 ;

V’nodi= Rmiglia . ROT°min.1,05

V Esempio: Dati V’ e ROT determinare R

VI Esempio; Dati R e ROT determnare V’

VII Esempio: Dati R e ROT determinare V’ , V con t° = 20°

V’ entra nella formula in nodi / 60 ; miglia al minuto)

R in miglia ;

57°,3 fattore del numeratore (1 radiante=180°/π)

R.O.T.°/mln=V’nodi.57,3 ; R.O.T.°/mln=V’nodi . 0,95

60.R miglia Rmiglia

0,95 è il valore del rapporto 57,3/60 con poco errore,

R.o.T.°/min = Vnodi/Rmiglia

Il radiante è l’ampiezza dell’angolo al centro α di un arco “l” di circonferenza lungo quanto il raggio r (l = α.r); quando l = r , α = 1 (α è sempre grandezza adimensionata). Tale angolo (α =1) risulta ampio 180° / π = 57°,29… ; dove π = 3,1415…

6) La guardia col I Ufficiale (Fabio Tortora).

La nave sta avvicinandosi al punto di manovra (un’ampia accostata).

Quando la nave è sul W.O. P. (Wheel Over Point) il sistema aggancia la nuova rotta, la traiettoria curvilinea, di cui ha i valori di tutti i parametri. Prospettiamo vari casi di manovra:

a) Un’ampia accostata al largo della costa, in mare aperto. La nave naviga col track Pilot inserito; appena transita sul punto programmato di accostata (Wheel over point), l’accostata avviene in maniera automatica e il sistema gestisce il timone in maniera tale da seguire la curva prestabilita: con il comando automatico go to track (v. §7 Capitolo IX Navigazione moderna) mantenendo invariati i parametri impostati. Il sistema di automazione definisce il canale di navigazione curvilineo. Quando la nave esce dal canale suona l’allarme…

b) In ogni caso, prima dell’accostata, i parametri della navigazione inseriti nel sistema integrato Track Pilot possono o devono essere cambiati quando mutano le condizioni di navigazione. I dati d’ingresso –input- soggetti a cambiamenti sono: rotta, velocità V della nave (speed), raggio R di evoluzione, angolo di timone, R.O.T. (velocità angolare : rate of tirn).

c) la nave è in acque ristrette, prossima all’atterraggio. Si commuta il sistema sul Manuale; l’Ufficiale o il Comandante (nel caso in cui abbia già “preso” la nave -preso nel senso di essere direttamente responsabile della manovra-) ha un valido riferimento sullo schermo del radar e/o ECDIS (carta elettronica).

d) Un altro ausilio può essere il ‘prediction path’. Utilizzando questa funzione, sullo schermo appare una proiezione futura del moto della nave; quindi si riesce immediatamente a visualizzare e valutare se l’accostata è troppo rapida rispetto alla curva impostata: in tal caso è necessario togliere timone o addirittura scontrare; oppure se l’accostata è troppo lenta; in questo caso si ha la necessità di dare più timone.

e) L’indicatore R.O.T: “bussola” di riferimento.

In una manovra eseguita senza l’ausilio del sistema integrato di navigazione l’indicatore ROT può fornire una indicazione utile al timoniere (e all’Ufficiale che controlla l’evoluzione della nave durante l’accostata). Il valore del R.O.T. tratto dalla tabella è comunicato al timoniere.

Se, durante l’accostata, il ROT istantaneo, letto sull’indicatore, tende a diminuire rispetto al R.O.T. ordinato (quello della tabella) egli incrementa di qualche grado l’angolo di timone; viceversa, toglierà qualche grado di timone quando dovesse notare un incremento del ROT dell’indicatore.

7) Bilanciamento.

Entrambi i relatori affermano: nelle navi moderne si dispone di sistemi di bilanciamento (heeling system) che in alcuni casi possono essere anche automatici. A seconda della tipologia di nave si possono avere diversi sistemi; ad esempio sulle navi da carico il sistema di bilanciamento è utilizzato principalmente quando la nave è in porto durante le operazioni commerciali; mentre per le navi passeggeri è più utilizzato durante la navigazione: nelle accostate per evitare una nave in rotta di collisione, per seguire uno schema di separazione del traffico, in particolare le rotonde.

Svolgiamo un esempio numerico di bilanciamento:

Momento sbandante; p∙y∙cosα

Momento raddrizzante D ∙ (r – a) ∙ senα

Dall’equazione dei due momenti si perviene alla determinazione della quantità di acqua da travasare per pervenire al raddrizzamento:

p = [D (r – a) ∙ tangα] / y

Esempio: D = 50.000 tonn. ; ( r – a ) = 1,2 m.; y = 11 m ; α = 2,5° . Determinare p.

Risultato: p = 238 tonn.

Attenzione però al bilanciamento per contrastare lo sbandamento dovuto all’azione del vento: F. Tortora: “ho conosciuto un Comandante che non voleva assolutamente che si usasse il bilanciamento per compensare il momento sbandante causato dal vento, poiché nel caso di un’accostata improvvisa (ad esempio per evitare una nave in rotta di collisione) il vento potrebbe trovarsi dal lato opposto a quello della zavorra e pertanto causare, concordemente con l’azione della zavorra, un pericoloso sbandamento.

Il bilanciamento è sconsigliato, ad ogni nave, in condizioni meteo di vento teso, quando la nave deve effettuare un ampio cambiamento di rotta. Possono verificarsi le seguenti due situazioni:

  1. la variabilità del vento;

  2. il cambiamento di rotta che può comportare:

viramento” di bordo in prua o in poppa; cioè

Il cambiamento di lato del vento con la probabilità di due effetti sbandanti contemporanei, con effetti concomitanti di sbandamento.

8) I Comandanti e le manovre.

Per quanto riguarda la curva evolutiva, direi (è F.T. che ‟parla”) che nella pratica di bordo oggi, così come in tante altre circostanze, i comandanti sono aiutati dalla tecnologia. Infatti i dati evolutivi sono inseriti nel sistema di navigazione integrata; in fase di programmazione del viaggio nel track pilot possono essere impostati diversi parametri, quali, ad esempio, la velocità V che s’intende mantenere, il rate of turn , il radius; questi parametri, combinati con il limite massimo di timone, producono un ramo della curva ad ogni wheel over point; relativo e vicino ad ogni way-point.

Il Comandante norvegese che abbiamo a bordo adesso utilizza molto questa funzione.

Il Comandante Luca Manzi, seppur più giovane del Comandante norvegese, preferisce affidarsi il più delle volte, alla sua esperienza e al suo spiccato sesto senso marinaro piuttosto che agli ausili elettronici. Col suo colpo d’occhio ed una valutazione d’insieme della manovra; ha una maestria che rievoca le doti e l’arte marinara e nautica dei Capitani di un tempo.

Ogni tanto viaggia con noi il Comandante della Compagnia per vedere come gli Ufficiali applicano le procedure e per dare alcuni suggerimenti. Sono occasioni per migliorare.

Nella navigazione in mare aperto, mantenendo il track pilot, l’accostata avviene in maniera automatica e il sistema gestisce il timone in maniera tale da seguire la curva prestabilita mantenendo i parametri impostati.

L’Ufficiale o il Comandante (nel caso in cui abbia già preso la nave, cioè assunto la diretta responsabilità della manovra) ha un valido riferimento sullo schermo del radar e/o ECDIS. Un altro ausilio può essere il ‘prediction path’; utilizzando questa funzione, sullo schermo appare una proiezione futura della nave e quindi si riesce immediatamente a visualizzare se l’accostata è troppo rapida rispetto alla curva impostata nel sistema integrato; in tal caso è necessario togliere timone o addirittura scontrare. Quando col prediction path’ si desume, invece, che l’accostata è troppo lenta, si ha la necessità di dare più timone.

9)Le tecniche di bilanciamento nelle navi portacontenitori e nelle passeggeri (Fabio Tortora).

Spesso si praticano tecniche di caricazione o scaricazione non uniformi. Ricordiamo che i piani di carico delle navi portacontenitori sono stilati a terra. Si verifica talvolta la disimmetria dei carichi destinati in porti differenti. A volte accade che le gru a ponte (meglio conosciute come ‟paceco”) possono operare più rapidamente; scaricando/caricando un’intera fila di contenitori. Alcune paceco moderne, nei porti più attrezzati, hanno sistemi automatici tali che, una volta scaricato o caricato il primo contenitore, ritornano automaticamente nella stessa posizione; pertanto non scaricano uno stesso ‛tiro’ di contenitori da lato a lato, bensì diversi tiri sulla stessa fila e sulla stessa baia.

Questo comporta, particolarmente nel momento in cui viene scaricata la fila più vicina alla murata, la creazione di un notevole momento sbandante (un container pieno da 40’ può pesare fino a 40 tonnellate); momento che deve essere compensato dal sistema di bilanciamento.

Alcune casse laterali vengono dedicate a questo scopo e vengono chiamate “casse di bilanciamento” (heeling tanks); praticamente si ha una coppia, o più coppie di casse laterali, aventi una zavorra permanente; le casse sono comunicanti tra loro con una pompa dedicata, “pompa di bilanciamento” o “heeling pump. Esempio: una coppia di casse, una a dritta e l’altra a sinistra, aventi una capacità massima di 100m3; in questo caso si mantengono a bordo 100m3 di zavorra che possono essere trasferiti da un lato all’altro.

Nei sistemi automatici, quando la nave è in porto durante le operazioni commerciali, si attiva il sistema dove sono stati precedentemente impostati il grado di sbandamento, superato il quale il sistema deve intervenire e quello in cui si deve fermare (ad esempio start +/- 0,5° – stop +/- 0,1°); quando la nave raggiunge uno sbandamento di 0,5° da un lato, automaticamente si aprono le valvole e la pompa trasferisce zavorra dal lato opposto fino a limitare lo sbandamento a 0,1°.

Nelle navi che dispongono di gru (a bordo), il sistema automatico non viene utilizzato quando le gru di bordo sono in uso in quanto si hanno continui sbandamenti derivanti dai movimenti delle gru stesse.

Se la nave è in navigazione, i comandi del sistema di bilanciamento vengono trasferiti dalla ‛sala carico’ al ponte di comando e il sistema automatico viene disinserito; in questo caso il bilanciamento viene utilizzato per compensare lo sbandamento dovuto al vento, oppure dall’accostata; ecco che, come anticipato, questo sistema viene utilizzato maggiormente sulle navi passeggeri. Quando ero un giovane Ufficiale sulle navi portacontainer, ho conosciuto un Comandante che non voleva assolutamente che si usasse il bilanciamento per compensare il momento sbandante causato dal vento perché, in caso di accostata improvvisa, il vento avrebbe potuto pervenire dall’altro bordo, opposto, e pertanto causare un pericoloso sbandamento (accentuato dalla zavorra che si era precedentemente trasferita).

Sulle navi passeggeri, invece, è importante mantenere la nave verticalmente dritta durante la navigazione, quando non si verificano i casi sopra riportati, per vari motivi: comfort dei passeggeri, piscine che potrebbero ‟trabordare”, ascensori che potrebbero non funzionare propriamente con la nave sbandata, eccetera. Pertanto uno degli ufficiali di guardia (solitamente il 3°Ufficiale assistente oppure l’Allievo), durante le accostate è incaricato di seguire il bilanciamento; pertanto è sempre pronto ad azionare il sistema del bilanciamento in anticipo e tenendo in considerazione forza e direzione del vento, ampiezza dell’accostata. Spesso durante l’accostata, in manovra, si sente dire, dal Comandante, ‟stiamo bilanciando?” . Quando la nave passeggeri è in porto, invece, il sistema di bilanciamento viene utilizzato molto poco, i comandi sono permanentemente sul ponte plancia, perché vi è sempre almeno un Ufficiale di guardia quando la nave è ormeggiata. 

GEOCENTRISMO, ELIOCENTRISMO

Posted on : 05-03-2016 | By : admin | In : Letture

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Il cielo appare di forma sferica. Ciò si deve al fatto che, alla semplice visione, gli astri appaiono situati tutti alla medesima distanza, sia pure grandissima, dall’osservatore. È una limitazione della nostra vista. Ora sappiamo della diversità, assai rilevante, esistente fra le distanze dei vari astri dalla Terra. Gli antichi ritenevano la sfera celeste una sfera di cristallo; attenendosi alle apparenze gli astronomi dell’antichità non esitavano a ritenere le
stelle, cioè quegli astri che apparivano immobili gli uni rispetto agli altri, come collocate – stelle fisse – in questa sfera materiale che si riteneva poi animata da rotazione diurna uniforme attorno all’asse del mondo.

Proiettati su questa sfera si osservavano anche i moti propri dei pianeti:

Luna, Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno. Nel 2.000 a.C: circa, le prime acquisizioni scientifiche sono documentate dalla scrittura dei Sumeri e degli Egiziani: su tavolette di argilla, incise e poi cotte in Mesopotamia; su foglie di papiro in Egitto. Gli astronomi erano sacerdoti che disponevano, per le loro osservazioni, di alte torri (si pensi alla biblica torre di Babele o Babilonia) sulle cui sommità si celebravano le nozze tra il Cielo e la Terra. Gli astronomi, inoltre, erano i gelosi « custodi» del Tempo.

Gli astronomi greci si giovarono delle osservazioni degli arabi antichi, osservazioni importanti per prevedere le temute eclissi o per formulare auspici (aruspici) per il potente. Occorreva dare una spiegazione dei moti dei pianeti. Presso le scuole filosofiche greche (si pensi a Platone, Aristotele, Eudosso, Callippo) si fece urgente la sistemazione geometrica, o geometrico-cinematica, del mondo, giacché, reputandosi regolari o « perfetti » taluni moti e traiettorie, prima fra tutte la circolare, si trattava di combinare opportunamente questi moti regolari (circolari) in maniera da avere come risultato il moto irregolare dei pianeti. La Terra si riteneva sempre immobile al centro dell’universo. In una prima concezione venne assegnata una sfera di cristallo, oltre a quella delle stelle, ad ogni pianeta: in totale otto sfere. Successivamente, grazie agli apporti fondamentali degli astronomi Ipparco e Tolomeo e di altri la teoria delle sfere fu in gran parte sostituita dalla teoria delle circonferenze (deferente, epiciclo), degli eccentrici ed equanti, ecc. Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, ognuno descriveva un circolo (epiciclo) in un dato tempo, e simultaneamente, in un altro periodo di tempo, il centro dell’epiciclo descriveva un ampio circolo (deferente) intorno alla Terra. Tolomeo condensò in 13 libri tutte le conoscenze astronomiche antiche; l’opera fu chiamata La Massima che, con la preposizione araba « al» divenne Almagesto. Prima di Tolomeo, lpparco compilò il primo catalogo stellare con α e δ. Non mancarono tra i greci stessi coloro che avanzarono l’intuizione di spostare il centro dell’universo della Terra: Filolao l’avrebbe posto in un Fuoco centrale o Trono di Zeus, Eraclide pontico vicino al Sole, Aristarco di Samo (il Copernico dell’antichità) addirittura al centro del Sole. Furono voci inascoltate o isolate. C’è da aggiungere ciò che disse Plutarco su Platone molto anziano: « si pentiva grandemente di aver collocato la Terra nel mezzo dell’universo, in luogo ad essa non conveniente ».

L’astronomia medievale si conservò sostanzialmente tolemaica anche se si arricchì dei contributi degli arabi nel campo delle osservazioni celesti e nel campo delle applicazioni della matematica e della fisica all’astronomia. Uno per tutti: Albatenio.

La dottrina tolemaica fu ripresa da Dante ed esposta in modo dotto nella Divina Commedia. Fu l’ultimo, ma formidabile suggello all’acquisizione della più completa autorità. Autorità che si impose nell’ambito teologico-ecclesiale. Quando Galileo scoprirà i pianeti medicei (leggi satelliti) rotanti intorno a Giove e non intorno alla Terra suscitò scalpore; ma l’irritazione crebbe quando disse di vedere sulla superficie del Sole le macchie solari: inconcepibile, per la incorruttibilità aristotelica dei cieli; le macchie dipendevano dai difetti del suo cannocchiale… A Galileo va il merito di aver praticato un nuovo metodo di indagine scientifica. Siamo fra il Cinque ed il Seicento, in un’era di stasi politica o quasi ma la concezione moderna della scienza, per merito suo, sorge in fretta. Lui mise la scienza della natura su una strada per cui era possibile avanzare a poco a poco, in collaborazione, ottenendo risultati sempre parziali e sempre rivedibili, ma controllabili, correggibili e componibili tra loro, secondo un procedimento sicuro basato sul metodo sperimentale.

Venne a vivere ed a studiare in Italia, in quel periodo del Rinascimento, Nicolò Copernico, canonico polacco nato a Thor nel 1473. Studiò e visse a Bologna ed a Roma. Ritornò poi in Polonia. Studiando il sistema solare cominciò a formulare, molto cautamente, sottoforma di ipotesi, la teoria di porre al centro dell’universo il sole. Nell’anno della sua morte, 1543, è pubblicata la sua famosa opera De Revolutionibus orbium caelestium. Fu tale l’effettiva portata scientifica del lavoro (Copernico illustra la semplicità delle spiegazioni dei moti dei pianeti mettendo al centro il Sole «generoso dispensatore di luce e colore»e dando la rivoluzione ai pianeti, Terra compresa con in più il moto di rotazione, disfacendo quel mirabile quanto complesso castello di sfere e circonferenze di Tolomeo) che autorità protestanti, ancor prima delle autorità cattoliche, manifestarono apprensioni per il contrasto in cui l’ipotesi dell’immobilità del Sole, al centro del mondo, pareva trovarsi con l’enunciato letterale di alcuni passi delle Scritture. Queste difficoltà portarono al conflitto violento tra i sostenitori dei «Due massimi sistemi del mondo»(nome di un famoso trattato di Galileo). Le due ipotesi, geocentrica ed eliocentrica, presero a contendersi il campo; da una parte i seguaci della tradizionale fisica aristotelica, dall’altra gli iniziatori del nuovo spirito scientifico. Un passo decisivo in questa direzione fu compiuto dall’astronomo tedesco Giovanni Keplero (1571- 1630) con la scoperta delle tre leggi fondamentali del movimento dei pianeti intorno al Sole. Grazie alle sue tre leggi Newton potrà costruire il suo meraviglioso sistema matematico dell’universo. Eppure Keplero si presenta come un pensatore a cavallo tra la vecchia e la nuova età. Da buon astronomo egli cerca l’esattezza matematica delle leggi: ma quando si tratta di indagare il loro fondamento, preferisce ricorrere ai concetti tradizionali. Una mistica quasi magica dei numeri lo affascina (quando pubblicò i risultati della terza legge egli pensava che il rapporto fra le velocità massime e le velocità minime dei pianeti nelle loro orbite fosse armonico… 4/5 per Saturno, 5/6 per Giove e così di seguito… individuando la terza maggiore, la terza minore dell’armonia musicale udita solamente dal Sole. Keplero non ha mai trascurato l’astrologia da lui considerata la sorellastra maggiore e generosa, perché sostentatrice, ma un po’ pazza dell’astronomia, sorella minore). Ciò non toglie che, in virtù delle sue tre leggi e delle sue pazienti ed accurate osservazioni, Keplero possa definirsi il fondatore dell’astronomia scientifica.

Galileo scrive a Keplero confessandogli di essere divenuto già da anni un copernicano convinto. Keplero gli manifesta compiacimento per le idee comuni. Sulla stessa linea di Galileo è Giordano Bruno, filosofo e poeta condannato, per eresia, al rogo dal tribunale ecclesiastico dell’Inquisizione. Galileo dovette abiurare per vedersi risparmiata la vita. Visse gli ultimi anni recluso nella villa di Arcetri, presso Firenze, dove ora c’è un grande osservatorio astro fisico solare.

Nel conflitto sui «Due massimi sistemi»un ruolo particolare ha avuto il grande astronomo Tycho Brahe, di origine svedese. Egli ebbe dal governo danese l’isolata di Huen dove costruì un osservatorio. Numerosissime sono state le sue osservazioni, in particolare quelle su Marte. Poi si trasferì in Boemia; quando Tycho abbandonerà, per l’età, l’osservatorio boemo gli subentra Keplero che può giovarsi delle osservazioni di Brahe. Questi non riconobbe il sistema copernicano, forse per le difficoltà bibliche, forse per talune argomentazioni imperfette di Copernico. Formulò una sua teoria, ibrida: riconobbe il moto dei pianeti intorno al Sole, ma non quello della Terra, probabilmente perché non aveva ancora scoperto l’ellisse parallattica. Ma non poteva disporre di strumenti tanto precisi da svelare il piccolissimo angolo di parallasse. Non ci riuscì nemmeno Galileo al quale Keplero si era rivolto per lo stesso motivo. La cosmografia di Copernico trionfò con Newton, grazie agli apporti di Keplero e di Galileo (.. all’Anglo tanta ala distese… ). Lo scienziato inglese Isacco Newton ebbe la grande intuizione di mettere in correlazione la forza di un grave (… la famosa mela…) sulla Terra con la forza con cui la Terra stessa attrae la Luna e con la forza – universale – con cui il Sole attraendo i pianeti li fa girare nelle orbite ellittiche kepleriane: la forza – diretta mente proporzionale al prodotto delle masse dei due corpi celesti ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza dei centri e la sua variabilità è proprio quella che giustifica le variazioni di velocità del pianeta nella sua orbita. Tutto ciò ed altro I. Newton lo scrisse nel 1687 nell’opera fondamentale Philosophiae naturalis principia mathematica. Newton seppe dare anche una spiegazione scientifica al fenomeno delle maree e ad altri vari fenomeni. Prima di morire, al culmine della gloria (fu nominato baro netto della Regina) Newton disse « se ho potuto vedere più lontano degli altri lo devo al fatto che salii sulle spalle di giganti» (bella metafora per alludere a Galileo, Keplero e altri che lo precedettero). 

Geocentrismo