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Capo Horn

Posted on : 07-04-2013 | By : admin | In : Tradizionale

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L’epopea della vela. Memorie dei Cap-Horniers.

Aveva da poco mollato gli ormeggi, ed il brigantino a palo si allontanava lentamente dall’isola più settentrionale delle Isole Galapagos, dove avevamo messo nelle stive un carico di guano. Vele alzate per raggiungere Iquique e completare il carico di fosfati e nitrati.


Tutto attorno si appiattiva nella calma più silenziosa. Afa e caldo toglievano le forze. Il vento si affievolì in bava, finché anche gli ultimi refoli caddero. Eravamo nella temuta bonaccia dell’accalmia equatoriale, tra i due alisei. Tutto era perfettamente immobile in quell’afa umida, densa, sgradevole. Gli uomini, costretti dall’inedia, cominciarono a divenire irascibili. Sudavano e bevevano. Nessuno resisteva abbasso nelle cuccette, viscide di umidità. Venne la notte ed i marinai andarono a stravaccarsi sugli strapuntini portati sul castello, lontani dal grande boccaporto di mezzana che, per quanto difeso da due robusti teloni sui quartieri, esalava l’acre odore del guano.
L’oceano era una tavola. Solo a tratti lo percorreva la liscia incessante onda lunga dell’oceano che passava come un lungo respiro. Il bastimento tornava a rollare, i cavi gemevano lentamente nelle pulegge, insieme al cigolio dei pennoni, del picco e del boma.
Avvezzo a tenere le mani annodate sulle caviglie della ruota, le sentivo grevi, inutili e impacciate. La cappa grigia si abbassava e l’afa diveniva insopportabile. La mattina seguente la visibilità si era ridotta a 150 metri. Le vele pendevano smence e l’arsura screpolava le labbra. Il barometro, basso, non accennava alcuna variazione.
Avevamo da poco tagliato la Linea quando notai che il barometro, lentamente, cominciava a cadere. Migliorò la visibilità, cominciai ad avvertire qualche goccia; poi, quasi all’improvviso la pioggia attaccò a mescere a fili lunghi, dritti. Come toccava la coverta prendeva a fumare. Fu accolta con gridi fanciulleschi, volti protesi, braccia larghe, bocca spalancata. Restammo un po’ ad inzupparci, finché il nostromo venne a gridare che c’era da raccogliere la pioggia e stabilì la guardia.
Al quinto giorno uscimmo finalmente dalla calma equatoriale. I trevi, la randa e la carboniera cominciarono a sbattere.
Il vento! Il vento!
Saltai in timoneria per togliere volta alla ruota. Le vele alte sbattevano. Il capitano attendeva di conoscere la direzione del vento. I marinai, pronti a correre alle manovre, non nascondevano l’eccitazione. Il capitano gridò al nostromo:
Smura trinchetto! Borda la trinchettina! Braccia in filo gabbie e velacci a prua! Tesa la randa!
Era evidente che il brigantino avrebbe preso abbrivo per andare all’orza e virare poi di bordo in prua.
Sotto l’azione delle vele la barca prese a beccare e, sbandata sulla sinistra dal vento aliseo di S-E, non tardò a spiccare la corsa…
… Lasciato il porto di Iquique la rotta era per Capo Horn, per poi dirigere in Europa. Il capitano decise di andare a prendere il filo della controcorrente che spingeva a Sud. Una decisione ardita, coraggiosa, per guadagnare un nodo o due di corrente in poppa: passare vicino alle insidie della costa, bordeggiare ogni volta che il Sud-Est ruotava a ostro, per navigare di bolina… Il capitano conosceva bene quelle rotte.
Pronti a virare! Al timoniere: Orza piano quanto leva! … Al nostromo: Controbraccia a poppa! Al timoniere: vieni mezza quarta a dritta!…
Regnava la calma e la visibilità si riduceva. In coverta c’erano solamente gli uomini del quarto. Il capo guardia era il I Ufficiale. Andò a leggere la temperatura, era scesa: – 1°C.
Nel frattempo salì sul ponte il Capitano, che aveva avvertito subito la caduta di temperatura
L’Horn é sempre imprevedibile, pensava il Capitano che ordinò bruscamente al I Ufficiale di mandare un marinaio di guardia in coffa. L’aria diventò gelida. L’uomo in coffa continuava a scrutare, a cercare qualcosa che solo lui aveva visto e ora non vedeva più. Dopo qualche minuto un urlo ed il braccio teso ad indicare la direzione: era una montagna di ghiaccio, un borgognone a due rombi dalla prua, sulla dritta, avvolto da una nebbiolina bluastra; caracollava con bianchi anelli di schiuma attorno, diffondendo sinistri brontolii. Sul brigantino, spinto alla deriva dalla corrente, nessuno fiatava. L’iceberg fu incrociato a meno di 300 metri, con i marinai affacciati al capo di banda, col fiato sospeso.
“Scampato pericolo” disse il I Ufficiale. “Sì, ma non rispettava la rotta” rispose il Capitano con una battuta.
Lasciato di poppa “l’iceberg-growler” si videro volteggiare sopra la nave due grossi gabbiani, due albatros.
“Ci hanno protetti le anime di questi uccelli”, disse il I Ufficiale tra sé, riecheggiando l’antica credenza marinara secondo cui ogni gabbiano conserva l’anima di un marinaio morto in mare…

Dopo aver doppiato Capo Horn e bordate le vele di gabbia, il veliero solo con queste vele, diresse verso le Falkland. Tirava un forte vento di Sud-Est e si navigava con vento al gran lasco sul fianco dritto che imprimeva al bastimento una velocità di 8 nodi. Il cielo diventò scuro con grossi cumuli, forieri di una tempesta non lontana. Eravamo allertati. Verso le 10 a.m. il vento calmò improvvisamente e dopo pochi minuti si avvertì una raffica da Nord-Est che in breve si trasformò in vento teso. Si dovette puggiare con prua a Nord Nord-Ovest, cercando poi di stringere il vento quanto più possibile. Il temporale iniziò con scrosci d’acqua torrenziale, ma si prevedeva e si temeva che sarebbe andato aumentando; il vento era saltato di 180°. Il Capitano ordinò di caricare le vele maggiori; dopo un’ora di duro lavoro, una manovra estenuante, difficile in quelle condizioni di vento di mare e pioggia; infine il brigantino rimase con i due barili e la trinchettina. Il mare si gonfiò ancora ed enormi marosi, presentandosi di prora, rompevano in coperta. Non rimaneva altro da fare che disporre il bastimento alla cappa, presentando vento e mare al mascone di dritta, per non perdere cammino ed evitare avarie. Le onde dell’oceano rompevano fragorosamente in coverta, minacciando paurosamente i boccaporti; infine la gigantesca massa d’acqua si rovesciava in mare dagli sportelli della batteria e dagli ombrinali. Ma i colpi di mare si susseguivano con tale frequenza che lo svuotamento della coperta non poteva avvenire tra un cavallone e l’altro, per cui questa era continuamente invasa dall’acqua ed il suo peso sovraccaricava il bastimento che a stento riusciva a risollevarsi dai marosi; avevamo tutti l’impressione di rimanere sommersi.
Si procedette così per diverse ore in questa critica situazione, con la speranza che la tempesta accennasse a placarsi al calar del sole. Ma la tempesta non diedi segni di mollare; al sopraggiungere delle tenebre sembrava divenire sempre più furiosa, allucinante.
Bisognava prendere una decisione, perché quella situazione appariva sempre più insostenibile, terrificante.
Tra le sartie il vento fischiava sinistramente, emettendo strani e lugubri suoni. A volte sembravano voci umane; infatti i vecchi naviganti le ritenevano voci di anime cattive e dannate, miseramente perite in mare.
Il Capitano decise di prendere mare e vento in filo, ossia di presentare la poppa al vento ed al mare e di correre così; diede al nostromo l’ordine di filare dal coronamento sei braccia di cima grossa. Così fuggimmo la tempesta. La nave, correndo in poppa, cominciò a ritornare sul cammino che da Capo Horn aveva percorso con tanta fatica. Altissimi cavalloni sollevavano il bastimento inabissandone la prora e poi, mano a mano che il cavallone passava, con la prua alta sul mare, copriva letteralmente la poppa.
Dopo tre giorni di tempesta, riapparve il sole, il vento cominciò ad allentare ed il brigantino poté virare di bordo e riprendere la rotta Nord Est e proseguire il viaggio.
Col punto nave di mezzogiorno, dopo le osservazioni di sole, il Capitano constatò che la nave era retrocessa di 200 miglia. Lo scafo non aveva subito gravi danni, ma le vele, sebbene serrate con molta cura, erano state lacerate dal vento. Erano da rifare; il lavoro non mancava per i prossimi giorni…

Da Edizioni Mursia (MI): Enciclopedia del mare, di Flavio Serafini; “Capitani dell’ultima vela – Gran lasco.” di Silvio Micheli. Frazioni di memorie dove, nella prima parte, il Comandante è il Cap. G. Gavi, il 1°Ufficiale è Taddei; nella seconda parte il Comandante è il Cap. T. Saglietto, lo Scrivano è A. Saglietto.

Ringraziamento al Comandante E. Andretta del Museo Marinaro di Chiavari

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